Scompare il commercio, 4 negozi all’ora. Boom online, ci perde il Fisco: 5,2 miliardi in 10 anni
Patrizia De Luise
Muore, a forte velocità, il commercio di vicinato. Numeri, cifre e denuncia di Confesercenti, un’associazione di categoria che grida contro lo strapotere dei colossi della vendita online. Difficile dire, senza la possibilità di verificare altri dati, se questo trend non sia pure favorito dall’assenza di strategie nazionali e locali, sul versante stesso della categoria, che provino a innovare e, per esempio, fidelizzare la clientela piuttosto che a godere di un posizionamento una volta privilegiato negli stili di vita e consumi degli italiani, oggi ormai logorato dall’aggressività dei big del web.
Più consegne, meno negozi, dice Confesercenti. Le vetrine continuano a spostarsi dalla strada alla Rete: nei primi tre mesi del 2024 sono scomparse quasi diecimila imprese del commercio al dettaglio per una media di oltre quattro negozi in meno ogni ora. Un crollo cui corrisponde la crescita inarrestabile degli acquisti online: secondo le nostre stime lieviteranno del +13% nel corso del 2024, generando oltre 734milioni di spedizioni ai clienti, in media quasi 84mila consegne di pacchi all’ora.
Lo scambio tra vetrine e pacchi, però, non è alla pari per le economie dei territori. Con la migrazione degli acquisti verso le piattaforme internazionali di e-commerce, che spesso pagano le imposte in altri Paesi, migra anche il gettito fiscale generato dai negozi. Secondo le stime dell’associazione di categoria, la scomparsa di attività commerciali dal territorio ha portato il Fisco italiano a perdere, dal 2014 ad oggi, oltre 5,2 miliardi di euro di tasse.
Chiusure e denatalità delle imprese. Nel dettaglio, nei primi tre mesi del 2024 il comparto del commercio al dettaglio ha registrato la scomparsa di 9.828 imprese, circa mille unità in più dello stesso periodo dello scorso anno. A pesare le chiusure – 17.243 tra gennaio e marzo – ma soprattutto la frenata della natalità delle imprese. Le aperture di nuove attività continuano infatti a diminuire, e nel primo trimestre di quest’anno sono state solo 7.415: dieci anni fa erano più del doppio. A pesare le difficoltà per le neoimprese di affrontare un mercato sempre più dominato da grandi gruppi e giganti dell’online.
Le regioni e desertificazione commerciale. La desertificazione delle attività commerciali colpisce tutto il territorio nazionale, anche se a registrare i saldi peggiori sono le regioni con un tessuto commerciale più sviluppato. In termini assoluti, a subire la perdita più rilevante di imprese è la Campania, con un saldo negativo di -1.225 attività commerciali nel trimestre; seguono Lombardia (-1.154) e Lazio (-1.063).
Meno vetrine, boom di consegne. Tra chiusure e mancate aperture, il numero di negozi di vicinato al servizio della comunità è calato, rispetto al 2012, del -14,3% circa. In media, ci sono 12 imprese ogni mille abitanti. Se le vetrine scompaiono – e con loro il servizio sul territorio per i cittadini – le consegne di acquisti online, invece, fanno boom. Secondo le nostre stime, infatti, in poco più dieci anni sono cresciute di quasi dieci volte: erano 75milioni circa nel 2013, quest’anno dovrebbero arrivare a 734 milioni a livello nazionale, di cui oltre un terzo nelle tre regioni più interessate: Lombardia (oltre 124 milioni di consegne in tutto), Lazio (71 milioni circa) e Campania (69,6 milioni).
L’erosione fiscale. Con la riduzione dei negozi, si riduce anche la base imponibile per il Fisco. Secondo le stime di Confesercenti, dal 2014 ad oggi il tessuto del commercio italiano ha perso oltre 92mila imprese. E con loro, l’Irpef, la tari, e gli altri tributi – dall’occupazione suolo pubblico alla pubblicità – solitamente pagati dai negozi. In media, la desertificazione commerciale ha portato ad una perdita cumulata di 5,2 miliardi di euro di tasse negli ultimi dieci anni. A perderci, fisco centrale ed enti locali: del gettito sfumato, infatti, il 17,4% -910 milioni – sarebbe stato di Imu, il 12,6% – o 660 milioni di euro – di Tari, il 42,7% (2,24 miliardi) di Irpef, cui si aggiungono 223 milioni (il 4,3%) di addizionale regionale e comunale Irpef, 700 milioni di euro di Irap (il 13,4%) e infine 510 milioni di euro di altri tributi comunali (9,7% del totale).
“Le piattaforme dell’online sono una fantastica riproduzione delle vetrine commerciali, dove si può trovare e comprare di tutto, ed è un’opportunità che sempre più persone utilizzano per fare le proprie scelte di acquisto – ammette Patrizia De Luise, presidente nazionale di Confesercenti-. Un cambiamento delle abitudini di consumo che sta cambiando profondamente anche la morfologia delle nostre città e non solo. Ed è proprio su questo ‘non solo’ – cioè sugli impatti su ricchezza, occupazione e fisco locali – che vogliamo accendere un faro”.
L’analisi di Confesercenti sulla profonda crisi del commercio si ferma alle riflessioni e sposta il tiro sull’urgenta di interventi sulla policy europea: “Non per dare giudizi, ma per analizzare e riflettere sugli effetti collaterali ‘di sistema’ dello spostamento degli acquisti dalle strade alla rete. Le imprese sul territorio, infatti, svolgono un ruolo cruciale non solo nell’economia, ma anche nel tessuto sociale: creano ricchezza e occupazione, permettono ai cittadini di accedere facilmente ai servizi e contribuiscono alle finanze locali attraverso il pagamento di tasse e imposte. In questo contesto, emerge dunque la necessità impellente di sviluppare una nuova politica europea che possa fornire strumenti adeguati e sostegno alle imprese del territorio, mirata a creare un ambiente più equo e competitivo, garantendo pari condizioni fiscali e il rispetto delle norme poste a tutela della concorrenza. La politica, nazionale ed europea, non può sottrarsi al dovere di garantire corretta e leale concorrenza e compensare gli enormi squilibri con interventi di sostegno a favore delle micro, piccole e medie imprese e specificamente delle imprese del terziario di mercato e del retail di prossimità, squilibri che continueranno nonostante la minimum tax del 2024”.
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