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Febbre da…bolletta: l’ultima scommessa del calcio italiano

di Giovanni Vasso -

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La grande scommessa del calcio italiano. A corto di quattrini, costretto a inerpicarsi lungo le rotte carovaniere dell’Arabia Saudita per raggranellare qualche euro in più, il football nostrano è alla continua ricerca di nuove entrate, soldi freschi, per sistemare le sue traballanti finanze. L’ultima sfida del pallone è una scommessa. O meglio: la scommessa di riuscire a raggranellare qualche milioncino dal mondo doratissimo e rutilante del betting.

Il vecchio decreto Dignità, approvato nel luglio ’18 dal primo governo Conte, ha cancellato l’opportunità, per i club, di farsi sponsorizzare dai siti di scommesse. Che, come sempre accade in tempi di crisi, stanno facendo affari d’oro. Con il calcio, certo. Ma con lo sport in generale. Lo stop alla pubblicità è stato motivato con il nobile obiettivo di lottare contro la ludopatia e le patologie legate alla dipendenza dal gioco d’azzardo. Una scelta antica che il Movimento 5 Stelle non solo difende ma addirittura continua a rivendicare come frontiera primaria del suo impegno politico.

Il sistema calcio, però, non la vede come la politica. E tantomeno gli affari. Innanzitutto la realtà. Che parla degli escamotage che molte piattaforme di betting hanno trovato per garantirsi, comunque, una visibilità importante e l’accesso alla pubblicità. Sia negli stadi che, soprattutto, nelle trasmissioni sportive. Uno dei più utilizzati riguarda la “trasformazione” dei siti di scommesse in piattaforme di informazione e analisi sportiva. Niente che non facessero già prima. Lo scommettitore, infatti, è sempre alla ricerca di notizie, di indiscrezioni, di analisi di dati, di elementi per stabilire dove orientare le sue puntate. Un po’ come facevano Mandrake, Er Pomata e i loro amici quando si riunivano ciascuno con la sua copia de Il Cavallo. Se è vietato pubblicizzare siti di scommesse, non lo è, invece, reclamizzare blog e spazi di informazione sportiva. Che riportano, guardacaso, lo stesso nome dei bookmakers. Insomma, in Italia vale sempre la stessa regola sulle leggi fatte e le scappatoie, perfettamente legali, che si praticano.

Ai club, specialmente a quelli di A, ‘sta cosa della scommessa “vietata” solo per il calcio italiano non è che piaccia poi molto. Perché hanno perso introiti importanti dal mondo del betting. Le stime parlano di (almeno) un centinaio di milioni finiti in fumo. Al danno, si aggiunge la beffa. Perché si tratta di un problema che hanno solo ed esclusivamente le squadre e le leghe italiane. Per dirne una: gli Europei di calcio che si disputeranno in Germania saranno sponsorizzati, addirittura come global partner, da un colosso come Kaizen Gaming con il brand di Betano. Ma non basta. Già, perché la stessa azienda, con lo stesso marchio, è stato il primo sponsor del mondo betting della Fifa e ha legato il suo nome all’edizione dei Mondiali giocatisi in Qatar. Fifa e Uefa, ma anche la Coppa d’Africa (che vanta una partnership importante coi russi di 1XBet), non si fanno troppi problemi quando si parla di soldi. I capitali che sarebbero stati investiti sulla Serie A, dunque, sono stati dirottati altrove. A tutto vantaggio di altri campionati, su tutti la Liga spagnola e la Premier inglese, dirette concorrenti, nel mercato internazionale dei diritti tv, della Serie A.

Stando ai dati della Figc, le scommesse sul calcio, in Italia, hanno generato una raccolta da 13,2 miliardi di euro solo nel 2022. Un affare d’oro che è tale anche per lo Stato, che incassa importanti introiti fiscali dai bookmakers e che fa gola a un movimento calcistico costretto a cercare introiti ovunque stretto com’è tra i due fuochi: quello dei debiti da un lato e quello del rischio di finire schiacciati dalla concorrenza internazionale (in termini di appeal e, quindi, di diritti tv) dall’altro. Inferociti dopo la decisione del governo di fermare il decreto Crescita per il calcio, i club sono pronti alla battaglia. E chiedono di avere una percentuale sulle scommesse. Al centro della vicenda c’è il fondo costituito con gli 80 milioni di “extraprofitti” versato all’Erario dalle società di betting e dalle piattaforme di scommesse.

Il presidente della Lega Serie A, Lorenzo Casini, intervenuto qualche giorno fa al Social Football Summit di Roma ha espresso un’opinione che non ammette repliche: “La maggior parte delle scommesse sullo sport è sul calcio, non è pensabile che il calcio non veda nulla di tutto quello che lo Stato prende dallo sport: parliamo di oltre un miliardo di euro”. Il Ministro allo Sport Andrea Abodi, non più tardi di due giorni fa, ha avuto uno scontro con il Pd che gli rinfacciava la volontà di voler aiutare “i suoi amici della Serie A” piuttosto che finanziare con i fondi del tesoretto delle scommesse iniziative di carattere differente. La discussione è sfociata in un alterco rimbalzato subito sui siti. Ma il problema rimane. E si innesta nella grande crisi del football. Senza soldi, senza infrastrutture e senza quasi più appeal internazionale. E la vera scommessa del calcio italiano, da vincere a tutti i costi, è quella di riprendere quota sui mercati esteri. Per farlo, servono i soldi. Che non ci sono e vanno presi da qualche parte.


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