Cinema

Schegge di paura: quando l’aula diventa palcoscenico

di Riccardo Manfredelli -


In “Schegge di Paura”, film del 1996 diretto da Gregory Hoblit e liberamente ispirato al romanzo “Primal Fear” di William Diehl, Richard Gere interpreta l’avvocato Martin Vail che, come il suo omologo Billy Flynn nel musical “Chicago” (Rob Marshall, 2002) ama sentire addosso la luce dei riflettori. Non a caso, quando lo incontriamo per la prima volta, sta rilasciando un’intervista che lo porterà dritto su una copertina patinata e poi a scrivere un già attesissimo memoir; nel frattempo, in montaggio alternato – sono sequenze in cui David Rosenbloom può fare sfoggio di grande maestria – scorrono le immagini della cattura di un giovane, presunto assassino dell’Arcivescovo di Chicago Richard Rushman (Stanley Anderson), e quelle dei primi rilievi all’interno e nei pressi dell’abitazione del prelato. La musica, che in “Chicago” è una componente identitaria, qui – l’intuizione è di James Newton Howard – è spesso utilizzata in senso anticipatorio e premonitore.

Subodorando la forte presa sui media che il caso avrà, Veil decide di assumere la difesa di Aaron Stampler (Edward Norton), ex chierichetto legato a Rushman da un rapporto simil-filiale. Il primo atto che compie è regalargli un vestito nuovo: la pluriennale esperienza, ha insegnato a Veil che un processo è innanzitutto una performance: egli si pone quindi, nei confronti del suo assistito come un acting-coach farebbe con un attore che sta preparando il film della vita: «Mantieni un’espressione più dimessa possibile», gli consiglia nel corso del loro primo incontro, «ecco, questa qui. Te la ricordi o hai bisogno di uno specchio?».
L’aula di tribunale si trasforma, a ben guardare, in un palcoscenico, sopra il quale pubblico e privato si intrecciano senza più soluzione di continuità: vincere (a lui non interessa che il suo assistito sia innocente perché «la verità non esiste», esiste solo la verità che tu crei perché la giuria ti creda) per Veil è anche una questione personale; dall’altra parte della barricata, procuratrice e voce delle ragioni dell’accusa, c’è infatti la sua ex compagna Janet Venable (Laura Linney) che, per parte sua, attraverso questo caso si gioca un importante avanzamento di carriera: «Tra noi è stata questione di una notte, che però è durata mesi».
“Schegge di paura” è un film sorprendente e affatto morbido o accomodante: quando tutti i nodi sembrano dipanati, Aaron si è macchiato inconsapevolmente dell’omicidio di Rushman perché preda di un episodio dissociativo, ecco l’ultimo colpo di teatro. Vince Edward Norton, che giganteggia all’esordio in un ruolo così complesso: la critica lo premierà l’anno successivo con un Golden Globe al Miglior Attore Non Protagonista.

L’ideale “triade in toga” si conclude per Richard Gere con “Shall We Dance?” (Peter Chelsom, 2004) in cui interpreta l’annoiato avvocato testamentario John Clark il quale trova diversivo alla routine in una sala da ballo (e nella giovane insegnate Paulina/Jennifer Lopez). Una “terapia” che alla fine lo riconnetterà alle proprie priorità, portandolo a rivalutare il rapporto con la moglie Beverly (Susan Sarandon).


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