Attualità

Sarajevo, 110 anni dall’attentato che ha distrutto la Belle Époque

di Redazione -


di GINO ZACCARI
È il 28 giugno del 1914, un corteo di auto sfila per le strade di Sarajevo, a bordo di uno dei mezzi si trova l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell’Impero Austro-Ungarico, insieme a sua moglie Sofia. C’è fermento in città, è pieno di irredentisti e attentatori che vogliono una Bosnia libera dagli austriaci e in uno Stato federato con la Serbia. Ad un tratto, una bomba a mano viene lanciata sulla cappottina dell’auto dei reali, l’ordigno rimbalza, cade a terra ed esplode provocando numerosi feriti. Dopo un breve stop si decide di proseguire ma le auto non fanno molta strada che ecco sbucare dalla folla un ragazzo, uno studente serbo di nome Gavrilo Princip, che estrae una pistola e colpisce a morte Francesco Ferdinando e Sofia. La folla si accalca sull’attentatore che viene arrestato mentre tenta di avvelenarsi col cianuro. Parte la corsa disperata all’ospedale per salvare i reali d’Austria ma non c’è nulla da fare. Non è il primo attentato nel mondo occidentale, anche Lincoln, Umberto I di Savoia e tanti altri Re e capi di Stato e di governo erano stati assassinati, eppure, stavolta è diverso, perché i colpi di pistola di Sarajevo segneranno un prima e un dopo, un passaggio doloroso e sconvolgente che sprofonderà il mondo nell’abisso.
Ma facciamo un piccolo passo indietro, andiamo a vedere cosa è stato quel “prima” dell’attentato. Anni fa lessi un libro molto interessante, rimasi colpito dalla copertina, il titolo: “Gli anni più belli” era scritto di fianco ad una coppia che ballava un Valzer. Una sintesi perfetta, un’immagine e quattro parole riportavano alla mente quel mondo, o quell’idea di mondo, spazzato via dalla mano di Princip. Faceva subito riemergere dalle nebbie del tempo la società dinamica, inventiva, produttiva, ma anche spensierata e amante dell’agio e del lusso che era, o voleva sembrare, l’Europa della Belle Époque. L’Europa delle grandi esposizioni universali della tecnologia, dell’acciaio e dell’elettricità; l’Europa del Valzer e dei caffè ritrovo di artisti, poeti e scrittori di Roma, Parigi, Berlino e Londra. L’Europa in cui si viaggiava da un Paese all’altro senza barriere. Eppure, quegli spari non avrebbero potuto ucciderla la Belle Époque, se questa non fosse afflitta da mille mali. Il più grande era forse la potenza spropositata dei singoli Stati del Vecchio Continente, che si guardavano tra loro con profonda diffidenza, forti di un senso di superiorità della propria cultura misto a paura per la crescita dei propri vicini. Questo portò ogni Stato ad una frenetica corsa al riarmo: l’Inghilterra voleva mantenere il proprio dominio marittimo, la Germania, in piena espansione industriale, voleva competere con la marina Inglese e uscire dall’imbottigliamento nel Baltico. La Francia, ancora scottata dalla sconfitta contro la Prussia del 1870, cercava vendetta e nel frattempo era in piena competizione con la Gran Bretagna per le colonie in Africa; dove anche l’Italia cercava il suo posto e la sua affermazione, senza rinunciare al confronto finale con l’eterno rivale, l’Austria, detentrice delle terre irredente: Trentino e Friuli-Venezia-Giulia. Quell’Austria che seppure in declino ancora si percepiva come lo Stato più antico e regale d’Europa, l’erede del Sacro Romano Impero. Non si espandeva in Africa ma continuava ad ingrandirsi nei turbolenti e violenti Balcani, dove un altro antico impero, quello Ottomano, era in declino anche lui. Ed ecco un altro problema, la debolezza degli ottomani avrebbe permesso alla Russia di calare finalmente sugli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, la via verso i mari caldi e il grande commercio mondiale, ma qui c’era l’Inghilterra a sbarrare il passo.
La Belle Époque era anche razzismo di un popolo verso l’altro, e dei popoli europei verso il resto del mondo, abitato da genti sub-umane da sfruttare o, nel migliore dei casi, da civilizzare europeizzandoli. Alle tensioni sociali sempre più esplosive faceva da sfondo una sfrenata corsa al riarmo aiutata dalle scoperte tecnologiche, che di lì a poco, avrebbero fornito agli eserciti armi micidiali: aerei, artiglierie sempre più potenti e precise, mitragliatrici, carri armati, sommergibili, gas tossici.
E’ vero certo che la storia non si fa con i sé e con i ma, eppure, molti sono concordi sul fatto che anche senza l’assassinio di Francesco Ferdinando la guerra ci sarebbe stata lo stesso, magari con un altro casus belli. Difficile dirlo, ma questo fa riflettere perché quel 28 giugno 1914, nessuno avrebbe creduto alla caduta e al dissanguamento totale della vecchia, potente e ottimista Europa. Nei giorni successivi all’attentato, a onor del vero, tanti uomini di ogni nazionalità, ambasciatori o semplici impiegati delle cancellerie, i pochi lungimiranti, hanno tentato in ogni modo di porre un argine alla frana. Non ci sono riusciti, i colpi di pistola di Sarajevo accesero la macchina di distruzione più potente del mondo, gli eserciti d’Europa, la Belle Époque morì e fu sepolta insieme a Francesco Ferdinando, a sua moglie Sofia, e alle decine di milioni di europei, americani, russi e giapponesi che nelle settimane e negli anni successivi sarebbero stati trascinati nella Grande Guerra.


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