Sanità choc sui social: l’infermiera beve dal “pappagallo”, la dottoressa seminuda
Sanità choc, che sembra aver smarrito il senso e le ragioni della professione, nelle denunce della associazione Nessuno tocchi Ippocrate. “Fermatevi! Così sminuite la nostra professione”, l’invito in una diretta Facebbok che denuncia gli ultimi casi segnalati.
L’ultimo episodio è una infermiera che beve dal pitale, il classico “pappagallo” ma c’è pure il caso anche della dottoressa quasi nuda, fino a quello dei post “spinti” del chirurgo Giacomo Urtis. Le esuberanze dei professionisti, inebriati dalla voglia di fare rumore sui social, rimbalzano ogni volta sui media e fanno discutere “creando una indignazione verso i professionisti” della sanità choc.
“L’infermiera che beve dal pitale ha suscitato molto polemiche, noi già da diversi anni siamo diventati osservatorio deontologico grazie al quale ci vengono segnalati atteggiamenti poco consoni di medici e infermieri che meritano attenzione. Noi – spiega Manuel Ruggiero, il presidente di Nessuno tocchi Ippocrate – come professionisti dobbiamo rispettare il Codice deontologico in toto. Altrimenti appendiamo il camice al chiodo. Dobbiamo restituire dignità alla professione, siamo stati per anni aggrediti e uno dei motivi è il fatto che la nostra figura negli anni è stata sminuita, anche da colleghi che si sono messi in ridicolo, come nel caso di Giacomo Urtis, o nel caso della collega che si è mostrata nuda su Facebook, e poi quello dell’infermiera che beve dal pitale dopo la laurea. Dobbiamo assicurare una immagine pubblica decorosa”.
“Sono immagini deleterie quelle che abbiamo raccolto – aggiunge Ruggiero – Medici e infermieri devono mantenere un contegno, non dobbiamo stare in giacca e cravatta sulla foto del tesserino ma neanche mettere foto dove siamo a cavalcioni di una mortadella o siamo vestiti solo con l’intimo trasparente. La foto della collega infermiera che beve dal “pappagallo” sminuisce la professione, è deleteria. Ora – conclude Ruggiero -, continueremo il lavoro di segnalazione. Il nostro camice è una divisa e va onorato”.
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