Salario minimo, Stagnaro: “Soglia dei 9 euro troppo alta. Fa male a lavoratori e imprese”
CARLO STAGNARO
di EDOARDO SIRIGNANO
“La proposta unitaria delle opposizioni è sbagliata. La soglia dei 9 euro, pensata per i lavori che sfuggono alla contrattazione nazionale, è troppo alta. Spinge verso lavoro nero e disoccupazione”. A dirlo Carlo Stagnaro, direttore delle ricerche dell’Istituto Bruno Leoni e docente presso l’università Iulm.
Più di qualcuno sostiene che l’esagerato assistenzialismo rappresenta un tappo per la ripresa. È d’accordo?
Se l’Italia, al contrario del resto del pianeta, negli ultimi trenta non è cresciuta, la causa principale va cercata in uno Stato che fa troppe cose e male.
La soluzione ai problemi è il salario minimo?
Non è certamente quel modello di salario minimo che emerge dalla proposta unitaria delle opposizioni, con l’eccezione di Italia Viva. Questa proposta ha due problemi. Il primo è che fa un mix tra i settori per i quali ci sono dinamiche di contrattazione nazionale con dei minimi salariali, tra l’altro normalmente superiori al termine stabilito dei 9 euro. L’altro errore, invece, è che questa soglia, essendo stata scelta per quei lavori che sfuggono alla contrattazione nazionale, in realtà, è troppo alta.
Perché?
In tutti i Paesi, che hanno un salario minimo legale, si colloca tra il 50 e il 60 per cento del salario mediano. In Italia, al contrario, siamo intorno al 75 per cento e in alcune zone rurali del Mezzogiorno, dove il costo della vita è più basso, addirittura si arriva all’80 per cento. Mi sembra, quindi, una proposta che nella parte bassa della distribuzione dei redditi rischia di essere troppo elevata. Potrebbe spingere lavoratori verso il mercato nero, se non verso la disoccupazione. Dall’altro lato, invece, un salario del genere darebbe l’opportunità ad alcune imprese di sfuggire ai contratti nazionali, che nella maggior parte dei casi hanno soglie più alte. Ecco perché si tratta di una proposta che fa male non solo a tutti quelli che intende tutelare, ma anche ad altri.
Quale la soluzione per aiutare i ceti meno abbienti?
La soluzione di lungo termine è certamente rendere l’Italia un Paese più dinamico.
Come?
Tagliando le tasse, promuovendo la concorrenza e così via.
Quale la strada, invece, per intervenire a breve termine?
Il tema per quello che riguarda i lavoratori con redditi molto bassi, a mio avviso, va cercato nello Stato. Deve aiutare queste persone sia dal punto di vista finanziario che della formazione. Se uno non trova lavoro o viene pagato pochissimo spesso è perché non ha sufficiente professionalità da valorizzare sul mercato. Rispetto al tema dei contratti pirata e in generale al fatto che ci sono mansioni pagate a cifre irrisorie, occorre mettere mano al tema della rappresentanza. L’esistenza stessa dei contratti pirati, firmati da parte datoriali o sindacali che non sono per nulla rappresentative, è figlia del fatto che non esite alcun criterio per dire quali sono le parti che hanno diritto di firmare contratti nazionali.
Un’emergenza anche quest’estate è quella degli stagionali. Tanti gli operatori, soprattutto nell’ambito del turismo, che hanno non poche difficoltà a reperire personale. È dovuto al reddito di cittadinanza?
Incide relativamente poco. Il reddito di cittadinanza può avere qualche effetto, soprattutto nella fascia di lavoratori a bassissima professionalizzazione. In questo caso, a me lavoratore conviene tenermi il reddito per prendere quattro soldi senza dichiararli e al datore pagarmi in nero. La difficoltà a trovare stagionali, invece, è legata soprattutto al fatto che siamo un Paese in declino demografico. Sull’immigrazione è indispensabile avviare una riflessione.
Come si sta comportando il governo a riguardo?
A dispetto della retorica, quest’esecutivo ha confermato la linea Draghi, che sul decreto flussi aveva preso una scelta coraggiosa, ampliando significativamente il numero degli ingressi legali. Meloni sta seguendo tale strada ed è positivo.
La convince, invece, l’ultimo decreto Lavoro?
Bisogna vedere cosa ne uscirà fuori. Dal punto di vista della disciplina del lavoro, non sembra che ci sia bisogno di continuare a intervenire in maniera muscolare e chirurgica. Il quadro di riferimento, grosso modo, c’è. Ci sono certamente degli elementi da migliorare. Penso a tutto quel che resta del Jobs Act dopo la sentenza della Corte e le correzioni apportate dai governi giallo-verde e giallo-rosso, a partire dal decreto dignità. Queste hanno creato, di fatto, una disciplina frastagliata. Si sente, quindi, semplicemente l’esigenza di fare ordine.
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