Cultura & Spettacolo

Romano Guardini, il Profeta della dignità umana tra fede e resistenza

di Pasquale Hamel -


“Nessuna grande azione, nessuna opera autentica, nessuna relazione umana sincera è possibile senza che l’uomo vi arrischi ciò che è suo.” Questa frase si trova fra le pagine di Rosa Bianca il libro scritto, su incarico dell’Università di Tubinga, da Romano Guardini, per ricordare il gruppo di giovani universitari cristiani che dal ’42 al ’43, pagando con la vita, avevano testimoniato i valori e la dignità della persona umana contro la barbarie del regime hitleriano. La chiamata di Guardini – che il filosofo Josef Pieper aveva denominato “Praeceptor Germaniae” – non era stata casuale, bensì l’omaggio a un intellettuale di origine italiana. Guardini nasce a Verona anche se la sua formazione era stata rigorosamente informata ai canoni della cultura tedesca. Guardini arriva in Germania in tenera età con il padre, commerciante divenuto console italiano a Magonza. Per scelta personale, Romano Guardini riceve un’educazione che lo porta ad assumere, come scrive padre Agostino Gemelli, “una mentalità tedesca” pur non rinnegando le radici italiane. Dopo qualche incertezza sul suo progetto di vita, la vocazione religiosa prevale e nel 1910 viene ordinato sacerdote. Gli impegni pastorali non sembrano interferire con la sua istintiva attitudine speculativa. Non a caso, nel 1922 diviene libero docente all’Università di Bonn occupandosi di filosofia delle religioni. La Germania in quegli anni era attraversata da sentimenti di rivincita per le sanzioni della Grande Guerra che l’avevano ridotta alla fame e ne avevano mortificato l’orgoglio nazionale e soprattutto i giovani covavano vendetta. In quel clima Guardini, che lentamente assurgeva al ruolo di intellettuale profetico, mantiene la barra dritta, predica la cultura della pace e il rispetto della dignità della persona. Insegnamenti e difesa di valori che ne fanno un eretico rispetto all’onda del nazismo che in pochi anni avrebbe definitivamente sedotto la società tedesca. Per il nazismo Guardini è un pericoloso nemico: viene allontanato dalla cattedra dell’università di Berlino, che l’aveva accolto come ordinario di Weltanschauung Cattolica. Gli anni del totalitarismo lo vedono sorvegliato speciale ma confortato dalla stima di tanti intellettuali. Ricercato dal regime, vive nascosto in Baviera. In quegli anni approfondisce gli argomenti teologici e filosofici che gli erano parecchio cari e si impegna come critico letterario. Studi su Socrate, Fëdor Dostoevskij, Friedrich Hölderlin, Friedrich Nietzsche, Rainer Maria Rilke e Søren Kierkegaard, che oggi costituiscono pietre miliari della critica filosofica o letteraria, lo consacrano fra gli intellettuali più acuti della prima metà del Novecento. Ma è la fede cristiana che lo anima, la connotazione più rilevante della sua vita. Per Romano Guardini “il Cristianesimo deve informare tutta la vita” ma nello stesso tempo, questo non può essere concepito come chiusura in dogmi, ma bisogna essere aperti al mondo moderno, che non va demonizzato come in passato. Con la fine del nazismo la sua presenza si fa sentire tanto da essere considerato uno dei filosofi più importanti del Novecento tedesco, tanto che l’università di Friburgo gli offre la cattedra di Martin Heidegger, che però rifiuta non ritendosi all’altezza. Nel dopoguerra e fino alla sua morte, nel 1968, diventa un influente pensatore, suo grande estimatore fu papa Montini che lo officiò, ricevendo un rifiuto, come cardinale di Santa Romana Chiesa. Dopo il ’68 è scivolato nel dimenticatoio e solo recentemente, la robustezza del suo pensiero, che puntava “ad aiutare l’uomo a ricostruire quell’unità spirituale che si era lacerata nel mondo moderno” e il suo richiamo contro i totalitarismi ha ritrovato la giusta attenzione.


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