Cultura & Spettacolo

A Forte dei Marmi dove il tempo si è fermato

di Nicola Santini -


A Villa Roma Imperiale, Elena e Sara Maestrelli accolgono gli ospiti in un’atmosfera che sa di casa

Forte dei Marmi è già di per sé un nome che evoca immagini di quelle vacanze da cartolina ferma nel tempo. E dove proprio il tempo, prima ancora dello spazio, acquista una dimensione differente. Roma Imperiale, all’interno di questa enclave, è il cuore più emblematico. Viali alberati, siepi che nascondono ville tanto lussuose quanto sobrie e rilassate nell’assetto e nell’aspetto. Giardini impeccabili e a volte retrò incorniciano il polmone verde di una località balneare. E poi quei colori tenui, fatti per riflettersi sulle Alpi Apuane dello sfondo quanto nella spiaggia e nel mare di fronte. Un gusto più che contemporaneo, intramontabile, arreda le case che per molti sono un buen retiro. Forte dei Marmi è un numero primo, una formula tanto semplice e accomodante fatta di sabbia, verde, montagne alle spalle e passione per il bello, che però non è imitabile. E Roma Imperiale è la sua capitale.

Qui, tra le case silenziose e le stradine verdi percorse per lo più in bicicletta, a un isolato dal mare, Villa Roma Imperiale è l’indirizzo che racchiude una filosofia prima ancora che decretarne il colpo d’occhio, ne racchiude lo spirito. E racconta, senza aprir bocca, una storia di famiglia. Quella di Sara ed Elena Maestrelli, che hanno nel dna l’arte del ricevere e nella professione quella di albergatrici.

Poche camere, volutamente, una grande piscina sul retro, tanti spazi per la conversazione. In uno sguardo, varcando il cancello che discretamente si affaccia sulla via, si capisce subito che questo è un luogo studiato per far sentire a casa chiunque lo scelga.

La valigia si poggia su un letto a baldacchino, senza far rumore, sostenuta da lenzuola pregiate e candide, così come le tende e la tappezzeria.

Per me che sono un appassionato, l’occhio non può non cadere sulla collezione d’arte. Una selezione di artisti che inizia da Pino Deodato, passa da Piussi, sbarca su Piero Pizzi Cannella. C’è lo zampino sapiente di Susanna Orlando, che qui ha impresso la sua conoscenza del Forte e il suo amore per ogni singolo respiro di quest’aria che sedusse da Gabriele D’annunzio a Curzio Malaparte, da Mina a Zucchero, da Andrea Bocelli ai Frescobaldi, gli Antinori e le famiglie aristocratiche che qui si danno appuntamento un tot di mesi all’anno chiamando questi luoghi casa. La sintesi sta tra queste mura: i bianchi, i panna, le sedie da spiaggia insieme al vetro e al legno naturale. Nessuna vena nostalgica scende a patti con uno spontaneo rispetto per le origini, che parla una lingua sua. E lo fa dalle pareti, ai libri poggiati con accurata casualità sulle consolle o sui grandi tavoli, fino al menù che parla toscano, affidato all’eleganza dei modi e delle coccole di palato della giovane chef Sabrina Pucci, che maneggia terra, mare, frutta e dolci con rilassata genuinità.

Le persone che lavorano qui sono gentili e discrete, sorridono, parlano quando c’è qualcosa da dire, comunicano disponibilità. Mi piacciono. L’idea e la sensazione sono quelle di tornare più che di scoprire anche quando si è appena entrati, anche quando non si conosceva un luogo così. Quasi fosse un deja vu, ma in senso positivo. La seduzione del luogo rifiuta i tempi morti e dilata le giornate che si trascorrono lentamente e volentieri a bordo di una piscina riscaldata, nella veranda ventilata con camino per l’inverno o nel giardino, dove i divani oversize sparsi in varie piazzole, chiamano conversazione, lettura e relax a seconda dell’intento.

Il giro in bicicletta, obbligato, si fa anticipandosi dallo scricchiolìo del ghiaino (si dice così, qui) sotto le scarpe. La gente vede le bici e ti chiede: “sei lì?” e ti sorride, riconoscendo un’appartenenza.

Uscendo, l’ultimo giorno, con la pioggia, è bello lo stesso: si capisce che il pitosforo e le altre piante che richiamano le vacanze di un tempo non sono per caso: un profumo che resta, come ultima carezza, che sale su per le narici quando ti guardi indietro e non vedi già l’ora che sia la prossima volta.


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