Torino

Rivisitazioni, guerre e migrazioni abitano il Festival delle Colline

di Redazione -


Per il secondo anno consecutivo sarà il Libano il paese ospite al Festival delle Colline – Torino Creazione Contemporanea che sta per compiere trent’anni e che, sotto la direzione di Sergio Ariotti e Isabella Lagattolla, dal mondo raccoglie quanto di più stimolante vi possa essere nel teatro di ricerca. Oggi – ai primi d’ottobre, a guardare al panorama cruento che s’è impossessato di Gaza, di Tel Aviv, di Beirut e delle tante altre città del Medio Oriente, bombardate e distrutte, con vittime e carrette stracolme di donne bambini e uomini che s’allontanano verso luoghi insperabilmente più sicuri, mentre guardiamo al disegno bellico di una Siria che ha tutta l’aria per il futuro di incrociare maggiormente le armi – con le ansie e le preoccupazioni e i pericoli di una regista di Beirut, Chrystèle Khodr e la sua compagnia, che a fine mese, con una interessante prospettiva ibseniana derivata dalla giovanile “Pretendenti alla corona”, porterà “Ordalie” (30 e 31), un testo che guarda e mette in discussione il rapporto tra la generazione del dopoguerra e la apparente pace civile, dove quattro attori “si uniscono per porre fine al ciclo di distruzione e impunità in cui sono cresciuti, credendo per una sola notte nella loro salvezza.” Ricordando in questo modo che il Libano non è soltanto fatto di macerie, ma contenitore di una vita culturale e artistica di straordinaria vivacità e di sicuro interesse.

Il Festival, organizzato dal TPE negli spazi dell’Astra e della Fondazione Merz, sostenitrice questa in veste di partner progettuale, si svolgerà dal 12 ottobre al 10 novembre, allineando sette prime, sei produzioni, 15 spettacoli per un totale di 52 recite. Vedrà una doppia inaugurazione, con “La luz de un lago”, performance dovuta a El Conde de Torrefiel, una compagnia di Barcellona già conosciuta al pubblico torinese per precedenti appuntamenti, unita a “Senza titolo” di Romeo Castellucci, performance concepita per la Triennale milanese, “che parte dai corpi, da gesti primitivi reiterati, per trasformarsi in suono, in musica, preghiera, in suggestione visiva.”

Se nel precedente triennio si è guardato al tema confini/sconfinamenti, oggi con gli spettacoli in cartellone si vuole approfondire quello di guerre/migrazioni. Un tema che non ha coinvolto solo un passato e che crediamo non potrà non coinvolgere il futuro, ma che sconvolge un doloroso tempo presente: “Quando il teatro e le altre arti vogliono riflettere sul domani non possono dimenticarsi di questi conflitti. Già avvenuti, in essere e in potenza, tenendo conto, ad esempio, che il rapporto tra passato, presente e futuro va quotidianamente ripensato”, sottolineano i responsabili. Tra passato e presente si tende il filo rosso della rassegna che è il pensiero di Hannah Arendt, iconica nelle sue migrazioni, nella sala Pasolini del teatro Gobetti, dal 22 al 31 ottobre, grazie al testo “Hannah” concepito da Sergio Ariotti e Francesca Cutolo prendendo in esame la biografia dell’autrice, il suo esilio e i primi anni americani.

Sarà altresì interessante assistere a “Thebes: a Global Civil War”, rivisitazione firmata da Pantelis Flatsousis (19 e 20 ottobre, all’Astra), nata per il teatro di Epidauro e ora qui a narrare con quattro interpreti provenienti da Bosnia, Congo, Grecia e Libano la lotta fratricida tra Eteocle e Polinice e la sfida di Antigone contro il tiranno Creonte che le impedisce di seppellire il fratello. La storia della violenza del nostro tempo e non soltanto rappresentata altresì con “Il fuoco era la cura” (15 e 16 ottobre, Astra) di Sotterraneo, tratto da “Fahrenheir 451” di Bradbury, romanzo datato 1953 ma con gli occhi rivolti saldamente a vent’anni prima, al grande rogo dei libri, circa ventimila volumi, compiuto dagli uomini di Hitler, o la storia della violenza che coinvolge anche la già dura relazione familiare tra sorelle, “Elogio della vita a rovescio” della coreana Han Kang, titolo preso a prestito da un saggio di Karl Kraus, spettacolo interpretato da Giulia Scotti e diretto da Daria Deflorian; o ancora “Cenci. Rinascimento contemporaneo”, proposto (con il Teatro Stabile di Torino, teatro Gobetti, da martedì 15 a domenica 20 ottobre) dalla Piccola Compagnia della Magnolia, ancora un esempio di violenza domestica, una giovanissima donna vittima dei soprusi e della depravazione del padre prima e della giustizia poi, Caravaggio e Artemisia Gentileschi ad assistere insieme alla condanna, la rappresentazione dell’anarchia del male, della responsabilità personale dell’ingiustizia che è a serpeggiare attraverso l’intera società, la visione di una religione che ne è sì fondamento ma pure condanna di quella intera struttura.

Ripescando dall’affollato cartellone, un lavoro che si interroga sull’atto dello scrivere, accompagnato dalla solitudine, dal dolore e immerso in una infinita meraviglia è “Pagina” (Fondazione Merz”, 1 e 2 novembre) di Giovanni Ortoleva e Valentina Picello, tratto dalle pagine di Italo Calvino; mentre ancora alla Fondazione Merz, il 5 novembre, Pippo Delbono – a cui saranno altresì dedicati un ciclo di quattro film in collaborazione con il Museo del Cinema, un concerto e un incontro, a coronare la presenza costante dell’artista in questi lunghi anni della rassegna – si confronterà con “La notte” derivata dalla “Notte poco prima della foresta” dello scrittore Bernard-Marie Koltès, scomparso prematuramente nel 1989: un (nuovo) testo incorniciato tra due lettere, la prima del fratello dell’autore francese, François, per cui Delbono ha ottenuto il consenso a tagliare e rimaneggiare, quasi “stracciare per intrecciare due vite e due voci”, ottenendo con l’accompagnamento della chitarra di Piero Corso un intenso e straziante e provocatorio monologo; dello stesso autore scritta alla madre l’altra, in cui viene analizzato il concetto di amore, con l’uso personalissimo di parole “aspre, dolci e malinconiche”, che da sempre sono il bagaglio teatrale di Pippo Delbono. Pronto a regalarci ancora, dal 6 al 10, in chiusura di rassegna, “Il risveglio”, derivazione – su un terreno ancor più doloroso – del precedente “Amore”, visione ancora più pessimista di una realtà che ci circonda sempre più da vicino, oltre la pandemia, oltre le guerre, oltre le ideologie, ogni cosa dentro un”sentimento di perdita che riguarda tanti”, un testo fatto delle parole, delle storie e delle poesie che l’autore va scrivendo con infelicità da qualche tempo. Calendario completo su www.fondazionetpe.it/festival.

Dal 12 ottobre, negli spazi dell’Astra, del Gobetti e della Fondazione Merz

Elio Rabbione (ilTorinese.it)

Nelle immagini: “Ordalie” di Chrystèle Khodr (foto di Marie Clauzade), “Cenci” (photo di Sydney Mexea) e “Thebes. A Global War” (photo di Konstantinos Zilos).


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