Rifiuti urbani, è stallo: non calano in discarica, mancano inceneritori e impianti specie al Sud
Nel 2022, la produzione nazionale dei rifiuti urbani – poco più di 29,1 milioni di tonnellate – non è stata allineata agli incrementi del Pil e delle spese delle famiglie (rispettivamente, del 3,7% e 6,1%): i rifiuti urbani sono diminuiti ovunque (-1,8%), tranne che in 14 città con popolazione residente al di sopra dei 200 mila abitanti dove l’aumento è minimo (0,4%).
E’ quanto emerge dal Rapporto Ispra, presentato insieme a quello Utilitalia sul recupero energetico dai rifiuti: due pubblicazioni che fotografano una situazione in stallo, se non in affanno, la cui analisi va portata ormai avanti anche oltre il raffronto dei risultati con i target Ue per poter affermare quanto poca determinazione e altrettanta convinzione vengano garantite a una manovra che, anche per le competenze sulla questione – tutte locali senza una strategia unitaria nazionale – non decolla.
Gli impianti di gestione dei rifiuti urbani nel 2022 sono stati 654, metà dei quali dedicati al trattamento della frazione organica della raccolta differenziata anche se non tutte le regioni ancora dispongono di strutture sufficienti a trattare i quantitativi prodotti.
La percentuale di riciclaggio dei rifiuti urbani cresce di poco fino al 49,2% e non è ancora sufficiente per raggiungere l’obiettivo del 50% previsto per il 2020 (al 2030 l’obiettivo sarebbe peraltro più ambizioso, pari al 65%).
I rifiuti urbani smaltiti in discarica rappresentano il 17,8% del totale dei rifiuti nazionali e scendono in un anno del 7,9%, ma dovrebbero calare ancora, per raggiungere gli obiettivi europei.
Il primo forte divario si registra sui costi della gestione rifiuti urbani per abitante. Se il costo medio nazionale annuo è di 192,3 euro ad abitante, al Centro quello più elevato di 228,3 euro ad abitante. Segue il Sud con 202,3 euro ad abitante. Uno del Nord paga solo 170,3 euro all’anno.
Il quadro si fa più sconfortante nel report di Utilitalia. Solo 188 gli impianti tra inceneritori e digestione anaerobica della frazione organica e dei fanghi di depurazione presenti in Italia. Hanno prodotto 7 milioni di MWh di energia (rinnovabile al 100% dagli impianti di digestione anaerobica e al 51% dagli inceneritori), un quantitativo in grado di soddisfare il fabbisogno di circa 2,6 milioni di famiglie, che però sono solo il 10% – aggiungiamo noi – del totale delle famiglie del Paese.
In Italia, soprattutto al Sud – viene rilevato – gli impianti mancano e se questa tendenza non si inverte, continueremo a smaltire i rifiuti in discarica: lo facciamo per il 18%, la Ue ci chiede di scendere sotto il 10% entro il 2035. Nel Mezzogiorno il ciclo dei rifiuti non si chiude, si registra una carenza impiantistica e se non si inverte questa tendenza, il nostro Paese continuerà a ricorrere in maniera eccessiva allo smaltimento in discarica: attualmente ci attestiamo al 18%, mentre le direttive Ue impongono di scendere sotto al 10% entro il 2035.
Lo stallo maggiore, per gli inceneritori. Sono 36: 25 al Nord, 5 al Centro e 6 al Sud, oltre a un impianto al Sud classificato formalmente come impianto di produzione di energia, ma alimentato esclusivamente con rifiuti di origine urbana. Hanno trattato 5,3 milioni di tonnellate di rifiuti, tra rifiuti urbani indifferenziati e rifiuti speciali derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani negli impianti di trattamento meccanico – biologico. Ma sono saturi e non si prevedono nuove aperture nei prossimi anni, se non l’impianto al servizio di Roma Capitale per 600mila tonnellate annue.
Senza inceneritori e impianti di recupero energia dalle frazioni non riciclabili, afferma il report, sarà impossibile mantenere lo smaltimento in discarica al di sotto del 10%. Filippo Brandolini, presidente di Utilitalia spiega che il problema degli impianti non è solo quantitativo ma soprattutto di distribuzione geografica: “Senza impianti non si chiude il ciclo dei rifiuti e non si potranno raggiungere i target Ue”.
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