Politica

Renzusconi

di Edoardo Sirignano -

MATTEO RENZI POLITICO


di EDOARDO SIRIGNANO

Nel giorno di Berlusconi, a conquistare la scena è il solito Matteo. Tra i diversi presidenti del Consiglio presenti al funerale del Cav, l’osservato speciale per quanto concerne il futuro della politica nazionale è quel giglio, che tanto somiglia (pur non potendo mai arrivare ai suoi livelli) al fondatore del centrodestra. Renzi certamente non può prendersi la leadership della coalizione conservatrice che ha una sola padrona: Giorgia Meloni. L’applauso di piazza Duomo vale più di mille parole. Esiste, però, un altro grande vuoto da colmare e ci riferiamo a quell’area liberale che, né la destra di governo, né la sinistra di Schlein, riesce a rappresentare.

Se Elly chiama a raccolta i vecchi dinosauri rossi, vedi Bersani, non può certamente candidarsi a capo dei riformisti. Tantomeno può farlo il trasformista Conte, che richiamato dai suoi colonnelli, deve stare lontano dai funerali del patron di Fininvest. Chi, pur avendo un passato diverso, invece, si riconosce in quel mondo è proprio l’ex sindaco di Firenze. Non a caso, nelle ore del ricordo di Silvio, chi ne difende la memoria, ancora più dei suoi fedelissimi forzisti, è proprio il numero uno di Italia Viva. È il primo a rispondere all’acerrima nemica degli azzurri Rosy Bindi, che aveva parlato di inopportuno lutto nazionale: “Non ha nessuna idea del Paese – sottolinea Matteo a Tagadà. Viene solo invitata quando parla male di qualcuno, tipo me”.

La verità è che Renzi si vede già addosso i panni dell’erede. Ecco perché si prende gli oneri, gli onori, ma anche i nemici. Non a caso, oltre a esaltare le gesta di chi lo ha preceduto, prova anche a emularlo. Raimo, su Huffington Post, scrive bene quando dice che non sarà il royal baby, ma recita da promesso sposo. Il tema giustizia, ad esempio, ritorna centrale nelle sue uscite. La differenza con Silvio è solo che quelle toghe che adesso lo perseguitano, prima lo hanno pure graziato.

Detto ciò, a dimostrare la sua volontà di impadronirsi dei temi, la scelta di guidare il Riformista, simbolo del garantismo. Stesso discorso vale per le altre sfide del Cav in attesa di un padrone. Basti pensare alla questione delle tasse. Secondo ultimi rumors, l’ex premier dem avrebbe già un proprio piano sulle imposte. Se in un primo momento il giglio trovava utile candidarsi a stampella di Giorgia, la morte del leone B. certamente gli ha lasciato delle praterie, che in politica non possono essere lasciate alle iene. Serve muoversi in grande. Basta, quindi, no a prescindere come quelli di Elly, ma neanche genuflessioni verso la leader della maggioranza. A dargli forza diversi potenti europei e non solo.

Basti pensare a Macron, che lo incita da mesi a candidarsi come alternativa tra i due forni. Il bivio, però, sono sempre quelle riforme, da sempre bestia nera per Matteo. Il toscano deve dimostrare di procedere quel cambiamento, quella difesa delle libertà avviata ai tempi del Pdl. Il patto del Nazareno, d’altronde, dovrà avere un seguito, a maggior ragione se allo stato non ci sono due prime donne. Non farlo significa chiudere quel grande tentativo di convergenza istituzionale, che ti consente di distinguerti dalla massa e dall’emergere. Così Renzi riuscirà a essere simpatico al popolo di “menomale che Silvio c’è” pure senza indossare la maglia del Milan. Con i supporter del diavolo non si può bleffare. Dove, invece, ogni fine giustifica i mezzi è quel campo della politica, della nuova comunicazione, in cui l’inventore della Leopolda è certamente un riferimento.

La grande folla di Milano, d’altronde, non è un popolo come quello che omaggiava Berlinguer, ma un pubblico. Ecco perché non serve la brutta copia del Pci, ma piuttosto chi utilizza un linguaggio diverso e al passo con i mutamenti di un mondo, che richiede passione, autorevolezza, intelligenza, ma soprattutto empatia.


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