Referendum e quorum, Legge sull’Autonomia una sfida per il Paese
Se per il governatore del Veneto, Luca Zaia, l’Autonomia è “la madre di tutte le battaglie” dopo il referendum del 2017, e per il ministro Nello Musumeci “l’Autonomia è la vera sfida per il Sud, basta assistenzialismo”, la raccolta delle 500 mila firme da parte dell’opposizione di centrosinistra e della Cgil, che considera la riforma uno Spacca-Paese, per sottoporre il quesito alla Corte Costituzionale con l’obiettivo di abrogare la legge promulgata dal presidente della Repubblica Mattarella a fine giugno, testimonia le insidie per una norma che qualora dovesse diventare operativa a tutti gli effetti rappresenterebbe per la Nazione un banco di prova assoluto. Temuto da molti studiosi per i rischi, ma benedetto da altri perché rappresenterebbe un’occasione per riformare in meglio il Paese. Di certo c’è che il prossimo appuntamento per il governo Meloni è la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (i cosiddetti Lep), che dovranno essere messi a punto, per 14 delle 23 materie concorrenti, entro un paio d’anni per garantire che in ogni angolo d’Italia i servizi siano erogati almeno sul piano teorico in maniera uguale.
AUTONOMIA: REFERENDUM E NUMERI
Già qui c’è la prima sfida perché si stima che con la fissazione dei Lep ci sarebbe un sostanzioso aumento della spesa pubblica per finanziare quei servizi che non sarebbero più erogati secondo la spesa storica, bensì in base ai fabbisogni standard. Questo comporterà un aumento del livello della capacità amministrativa che attualmente è stimato molto differente tra Nord e Sud. Non a caso c’è chi analizzando quel simulacro di Lep che sono appunto i Livelli essenziali di assistenza (Lea), introdotti alla fine degli anni Novanta, stabilisce che a causa del basso livello dei servizi sanitari nelle Regioni Meridionali i cittadini perlopiù continuano a spostarsi verso Nord quando devono essere curati in maniera importante. Ma se la raccolta delle firme non dovrebbe costituire un grosso problema per i partiti alternativi al centrodestra, il primo passaggio sarà rappresentato dal vaglio della Consulta sulla validità del quesito referendario. Com’è noto anche cinque regioni amministrate dal centrosinistra (Emila Romagna, Campania, Puglia, Toscana e Sardegna) stanno promuovendo il referendum abrogativo, mentre Alberto Villanova, capogruppo leghista in Consiglio regionale del Veneto, ammonisce che “Roma non può considerare il Veneto solo per il Pil, i versamenti Iva o Irpef, perché la Costituzione non può valere per il Veneto solo quando si tratta di tasse e doveri, il nostro popolo ha anche dei diritti”.
SONDAGGI E QUORUM
Ammesso che il referendum sull’Autonomia differenziata ottenga il via libera della Consulta, resta l’insidia tutt’altro che banale del quorum perché stando ai sondaggi non è così automatico che il 50% del corpo elettorale si rechi alle urne. Secondo un osservatore attento come Nando Pagnoncelli che con Ipsos sforna sondaggi settimanali per Il Corriere della Sera, solo il 33% è sicuro di partecipare, ma anche altri istituti come Demopolis ed Euromedia stimano problematico il raggiungimento del quorum. Qualora invece fosse raggiunto quasi il 60% degli italiani sarebbe contrario alla legge: al Sud, com’è facile intuire, si trova il maggior numero. Ci sono poi studiosi come gli economisti Lucrezia Reichlin e Francesco Drago che argomentano che “con l’autonomia differenziata gli incentivi alla formazione di classi dirigenti nel Mezzogiorno responsabili e capaci diminuiscono”. Ma sul punto un altro analista di valore come il prof. Sabino Cassese sottolinea esattamente il contrario, a dimostrazione che quanti sostengono che “la legge fa male al Nord e al Sud e rischia di gettare il Paese in un caos amministrativo di cui non c’è bisogno” è una tesi priva di riscontri oggettivi. Se i cittadini esprimono timori per sanità ed istruzione, la riforma dell’Autonomia costringerà lo Stato a ripensare il proprio rapporto con gli italiani e costringerà le classi dirigenti pubbliche, soprattutto Merdionali, a un salto di qualità per gestire quella che potrebbe essere una grande opportunità per il Paese, di cui si è fatta carico anche la premier Meloni.
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