Quell’esplosione e la precarietà dei migranti
L’esplosione, la paura e la corsa in ospedale: nella notte tra venerdì e sabato a San Lorenzo Nuovo, in provincia di Viterbo, si è verificata una deflagrazione che ha completamente distrutto un centro di accoglienza per migranti richiedenti asilo. Il bilancio del disastro conta 30 feriti, tutti ricoverati, di cui uno in gravi condizioni. La struttura di accoglienza situata nella zona industriale di San Lorenzo Nuovo era formata da due unità abitative e ospitava diversi nuclei familiari: per questo tra i feriti si contano anche alcuni bambini. L’intervento dei soccorsi e dei Vigili del Fuoco ha permesso di mettere in sicurezza tutti gli ospiti feriti e gli elicotteri del 118 sono riusciti a trasportare i più gravi nelle strutture sanitarie.
Su quanto accaduto stanno indagando i carabinieri di Montefiascone: al momento l’ipotesi più probabile è che ad aver causato la deflagrazione sia stata una fuga di gas. Ipotesi fermamente smentita da Sebastiano Sani, legale della società e comproprietario della palazzina, che ha dichiarato: “Abbiamo utilizzato solamente elettricità, sia per il riscaldamento che per le cucine”. Eppure, a detta del colonnello dei carabinieri Massimo Friano quella della fuga di gas rimane l’ipotesi più probabile: “Potrebbe essere stata generata da un locale saturo di gas”. Un caso, questo di Viterbo, che ci racconta la precarietà della vita dei migranti e dei richiedenti asilo che, negli ultimi mesi e negli ultimi anni, arrivano nel nostro Paese. Prima i centri di accoglienza nei luoghi di approdo, spesso saturi, poi i trasferimenti in altre strutture dove attendono per mesi, e a volte anni, una risposta alla domanda di asilo.
Una precarietà dimostrata dalla mancanza di una visione di gestione: le difficoltà ci sono e derivano sia dai grandi numeri di persone in arrivo, sia, però, da un sistema di integrazione inesistente. La soluzione per alleggerire i centri italiani è stata trovata dal governo (in parte) con l’accordo suggellato tra Italia e Albania. Secondo il protocollo d’intesa firmato tra Meloni e Rama l’Italia prevede a proprie spese l’istituzione in Albania di un centro di accoglienza e un Cpr in cui dovranno permanere solo maschi adulti solo per il tempo strettamente necessario a svolgere le procedure di richiesta di asilo o rimpatrio. Anche qui, torna il tema della precarietà: il protocollo non chiarisce dove verranno portati i migranti che dovessero vedere la loro richiesta di asilo rifiutata. E si riparte dal via senza un sistema.
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