Quella bugia del cervello chiamata anche attacco di panico. Le parole di Sorrentino
Il disagio mentale è molto più diffuso di quanto possiamo immaginare, le persone spesso si vergognano a parlarne perché lo stigma di “pazzo”, piuttosto che “psicopatico” e oramai entrato nelle nostre case e nel nostro linguaggio in modo serpeggiante e quasi inestirpabile. Ma i medici e gli esperti non smettono di lottare affinché chi soffre dei disturbi psichiatrici non sia né più nemmeno importante di un altro paziente.
A farne una battaglia che dura da quarant’anni, è il neurologo romano Rosario Sorrentino che, per chi lo conosce, si definisce un neurologo prestato alla psichiatria. Questo perché fin dall’inizio della sua professione, ha cominciato a scorgere l’urgente bisogno di tendere la mano a chi avesse quelli che oggi sono chiamati attacchi di panico, ma che un tempo venivano trattati in tutt’altro modo.
«L’attacco di panico è un falso allarme, una bugia del cervello che, quando irrompe nella vita di una persona, ne cambia radicalmente la libertà, l’autonomia di decidere, e la possibilità di vivere un’esistenza normale. Forse l’attacco di panico, più di ogni altro disturbo psichiatrico, può rendere la propria esistenza talvolta impossibile perché relegati, sequestrati, in una sorta di gabbia sperando al contempo di poter vivere una vita normale lontana dalle paure e da un senso di morte», queste le parole del neurologo a cui abbiamo chiesto anche come si possa guarire da questo disturbo.
«La farmacoterapia, fin dall’inizio, è fondamentale per non concedere ulteriori vantaggi a un disturbo subdolo, imprevedibile, che spesso si presenta in pieno benessere lasciando chi ne soffre in uno stato di stupore e disorientamento. Dopo un attacco di panico nulla è più come prima perché chi ne viene colpito si trova a tu per tu con sensazioni orrende, difficili anche da spiegare e raccontare agli altri».
Ma i sintomi quali sono? «L’esordio varia da persona a persona: paura di morire, di impazzire, un senso di brivido con il cuore che batte all’impazzata, vertigini con sudorazione improvvisa, quella sensazione di oppressione sul petto e una fame d’aria inspiegabile. Poi, soprattutto, un’urgente richiesta, bisogno di aiuto che può spingere in alcuni casi le persone a recarsi al pronto soccorso convinti di subire qualcosa di tragico, irreparabile. I pensieri intrusivi trasmettono alla persona l’idea di essere sul punto di avere un ictus o un infarto, accompagnati da uno stato di ansia profonda e di ingestibile agitazione. Il tutto può durare da pochi minuti ma anche fino a mezz’ora. Sono sensazioni che i pazienti descrivono come indelebili, vive anche a distanza di tanti anni».
Ma perché, da numero uno nel campo del panico, ha deciso di scrivere un romanzo sul disturbo bipolare? «Perché c’è molto da raccontare su questa malattia che, se non curata, è tra quelle più invalidanti tra i disturbi psichiatrici. È molto più diffusa di quanto non si possa pensare, con un impatto molto negativo nella vita affettiva, nei rapporti interpersonali e nel mondo del lavoro. Ne soffrono circa un milione di persone, di cui circa il 70% è inconsapevole di averlo.
La diagnosi arriva con estremo ritardo, dopo circa 10 anni perché non viene prontamente riconosciuta la patologia. Circa 2 pazienti su 3 non riceve una terapia corretta e quasi il 50% abbandona le cure in modo improvviso causando un ritorno della malattia e il rischio di una definitiva cronicizzazione». Eppure, sappiamo quanto sia diffusa la paura dello psicofarmaco, si pensa che cambi la personalità, renda dipendenti. Ma secondo Sorrentino «è opinione diffusa che il farmaco possa avere un significato come le altre droghe, quando invece la farmacoterapia nel disturbo bipolare, e non solo, è fondamentale, sia nelle fasi acute della malattia che per prevenire le ricadute.
Bisogna, tutti insieme, abbattere il pericolo maggiore per non far diffondere oltremodo queste malattie: il pregiudizio, i luoghi comuni che contribuiscono e non poco a creare uno stigma, un’etichettatura che allontana i pazienti dalle cure necessarie».
Quindi, curarsi è possibile, basta solo non rincorrere le pseudoscienze e affidarsi a chi il cervello lo conosce in ogni suo meandro.
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