Attualità

Quel rapporto malato tra calcio e scommesse

di Giovanni Vasso -


Ci mancava solo il calcio scommesse. Nicolò Fagioli, Nicolò Zaniolo, Sandro Tonali. Da ieri anche Nicola Zalewski. Almeno secondo Fabrizio Corona. Che ha tirato in ballo il giovane centrocampista della Roma. Che, però, non risulta indagato e presto potrebbe decidere di denunciare l’agente fotografico. Ma ci sarebbero tanti, tantissimi, altri calciatori coinvolti. Lo scandalo, l’ennesimo, si abbatte sul football nostrano. La vicenda ormai è già nota. Dal punto di vista della giustizia ordinaria, i calciatori rischiano poco o nulla. L’accusa della Procura di Torino è quella di esercizio abusivo di attività di gioco o di scommessa. Nello specifico, i calciatori avrebbero giocato su piattaforme digitali non riconosciute dallo Stato che, di giochi e scommesse, ha il monopolio. L’unica cosa su cui tutti sembrano concordare è che rischiano poco o nulla. Tutt’al più una multa. Magari di qualche migliaio di euro. Per giovani calciatori di rilievo internazionale, poco più che una manciata di spiccioli. Il problema è un altro. È la giustizia sportiva. Agli atleti è proibito scommettere. A prescindere. È una questione seria. E la Procura federale potrebbe chiedere, e ottenere, per i calciatori coinvolti nell’ennesimo scandalo, delle condanne severe. Fino a tre anni di squalifica, applicabili anche se i calciatori coinvolti giocano all’estero. In pratica, rischiano la carriera.

I collegi difensivi hanno già fatto trapelare le versioni dei loro assistiti. I calciatori non avrebbero mai scommesso su eventi sportivi, né calcistici, ma si sarebbero limitati a giocare d’azzardo online. Poker e black-jack. Adesso la palla rimbalzerà dal campo alle aule. E l’Italia ritorna a commentare le stesse immagini di sempre. Con lo stesso titolo di sempre: calcio scommesse. L’altro ieri, erano gli anni ’80, le macchine della polizia a bordo campo per arrestare, dopo la partita, i calciatori denunciati da Cruciani e soci all’epoca del Totonero. Ieri, all’epoca di Euro 2012, il blitz a Coverciano per l’inchiesta su Diego Criscito e Leonardo Bonucci da cui poi, entrambi, sarebbero usciti puliti. Oggi, Zaniolo e Tonali che lasciano Coverciano. Mentre i loro compagni, questa sera, si ritrovano a giocare una partita, che non interessa nessuno, nello stesso stadio, il San Nicola di Bari, dove l’ex difensore biancorosso Andrea Masiello segnò un autogol nel derby contro il Lecce per poi confessare, nel 2012, di averlo fatto apposta.

Ma il guaio, adesso, è fatto. E costringe il calcio a pensare. È l’ennesimo colpo alla credibilità di un intero sistema. Il problema, evidentemente, non è mai stato risolto. Le scommesse, ciclicamente, tornano a far capolino nel dorato mondo del calcio. Una malattia da cui il football non è mai guarito. Ma ciò non valga come un “salvi tutti”. Anzi. Perché il tema è decisivo. E riguarda la formazione dei ragazzi o, per dirla in termini economici, la gestione del patrimonio delle società. Gli asset dei club sono i calciatori. E il caso Fagioli-Zaniolo-Tonali ci racconta la storia di ragazzi lasciati soli, con tantissimi soldi e troppo tempo libero a disposizione. Serviti, riveriti, viziati. Alla ricerca di emozioni nuove. Per battere la noia. Già, perché il vero nemico degli sportivi è proprio questo. Ritiri lunghi, trasferte infinite, zero pensieri di vita quotidiana. Senza ritornare indietro ai tempi di Catone il Vecchio che sentenziò come l’ozio fosse il padre dei vizi, basterebbe leggere quello che ha scritto, qualche anno fa, Phil Jackson, leggenda vivente dell’Nba, del coaching e dello sport. La noia è il vero avversario da battere. La fonte di ogni tentazione. E bisogna impegnarsi per aiutare i ragazzi a vincere la prima sfida, quella che scatta nella testa, prima ancora di scendere in campo. Il calcio italiano conta un esercito composto da centinaia di agenti, procuratori, allenatori a tutti i livelli, accompagnatori per ogni luogo, posto e momento, responsabili di ogni divisione possibile. Nessuno si è mai accorto di nulla? Gli organi federali e di Lega, sempre attenti a chiedere più soldi per i diritti tv e a lamentarsi della sostenibilità del calcio, sanno che questa, che in definitiva è una ragazzata, comporterà, però, un danno d’immagine (e dunque di soldi) gravissimo a tutta la Serie A e a tutto il movimento calcistico? Le società, che investono milioni su questi ragazzi da cui dipendono, oltre a quelli sportivi, i loro risultati economici, come gestiscono i loro asset? Davvero c’è chi pensa che basti far firmare regolamenti interni per scaricarsi colpe e coscienza davanti al pubblico? E come faranno, domani, a chiedere rispetto agli spettatori che fischieranno, che scriveranno orrori sui social non credendo più, del tutto, nella buona fede di coloro i quali indossano la maglia della loro squadra del cuore? Quella, per inciso, per cui spendono somme astronomiche, per cui sono disposti a sborsare cifre da sballo per assistere a partite in stadi improponibili, per cui cacciano, ogni mese, fior di quattrini per gli abbonamenti alla pay-tv sempre più esosa? Non c’è da sorprendersi, poi, se i ragazzi non sono disposti a spendere nemmeno per gli highlights per uno sport che non li appassiona più. E, soprattutto, non c’è nemmeno da scandalizzarsi se i genitori preferiranno iscrivere i figli a qualunque altro sport-corso-palestra piuttosto che al calcio se gli effetti “educativi” sono questi.

La crisi di sistema ha già portato l’Italia fuori dai mondiali, la lascia con un piede fuori dagli Europei e con tanti, troppi, dubbi di sostenibilità. Prima ancora che sportiva, persino economica ed educativa. Il calcio è all’anno zero.  Il calcio scommesse, l’ennesimo, gli dà l’avviso definitivo. Non basterà un grande tecnico come Luciano Spalletti a salvarlo. Ci vuole una rivoluzione. Che parta dagli uffici e arrivi fin nell’ultimo campo di periferia.


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