Quei buchi nella fuga di Uss
Se Roma non batte un colpo, il caso di Artem Uss è destinato a cambiare gli assetti geopolitici e i rapporti di forza alla base del patto atlantico. Perché alla premier Giorgia Meloni non basterà assicurare a Washington che i servizi segreti italiani non erano stati informati sulla caratura criminale del trafficante d’armi vicino a Vladimir Putin. Non solo non sarà sufficiente fornire tali giustificazioni, ma aggraverà ancor più la credibilità dell’Italia, la cui intelligence, ormai da diversi mesi, è isolata dalle altre agenzie straniere e vive in un momento critico per l’interruzione dello scambio di informazioni con le spie internazionali. Una situazione di caos della quale noi de L’Identità vi raccontiamo da diverso tempo, senza che i vertici dell’intelligence si scompongano. E che oggi è confermata proprio da coloro che avrebbero dovuto correre ai ripari, per ripristinare una questione di sicurezza nazionale che non può essere ignorata. Soprattutto quella del rafforzamento del controspionaggio italiano, ormai fuori dai territori che contano. Fuori dall’Africa, la polveriera del mondo dalla quale si imbarcano verso le nostre coste migliaia di clandestini al giorno. Fuori dal Medio Oriente, il cui flusso di informazioni è del tutto gestito dagli agenti segreti turchi di Erdogan. E soprattutto fuori dalla Russia, la nazione che con il conflitto in Ucraina ha spaccato il mondo come ai tempi della guerra fredda. Sul fronte Occidentale, l’Italia di Giorgia Meloni ha saputo finora fornire alla causa di Joe Biden rassicurazioni fattuali, nonostante sull’esecutivo si siano addensate fin da subito le ombre russe, con i dossier dei Paesi al soldo di Putin e l’incidente diplomatico con Washington, scoppiato a settembre scorso proprio durante un visita dell’allora presidente del Copasir, Adolfo Urso. Una situazione che l’ex premier Mario Draghi aveva saputo gestire, parlando della pressione di Mosca, del dossier Usa sui fondi russi ad alcuni Stati in cui l’Italia non c’era e facendo riferimento addirittura a “pupazzi prezzolati”. Da allora sono passati sette mesi e, alla luce dei nuovi accadimenti, quelle allusioni che facevano presagire strane movimentazioni di agenti segreti deviati al soldo dei russi sembrano diventare quasi una realtà.
DISTRAZIONE DI MASSA
Perché la fuga di Artem Uss, esfiltrato senza che la nostra sicurezza nazionale se ne accorgesse, apre a scenari inquietanti che, più che incompetenza, delineano condotte che meritano certamente nuovi profili investigativi. Senza contare che l’errore madornale fa il paio con la nomina di Paolo Scaroni all’Enel, sulla quale gli Stati Uniti avevano messo in assoluto il veto, in quanto l’immagine del manager è ormai marchiata dalle sue aperture a Vladimir Putin e dai favori concessi a Gazprom. Due macigni crollati inesorabilmente sulle relazioni tra Italia e Usa, di fronte alle quali sono emerse le difficoltà dell’esecutivo di Giorgia Meloni, la quale, forte del suo atlantismo, era riuscita fino ad ora a contenere le perplessità da oltreoceano sulle pulsioni filo russe della Lega e di Silvio Berlusconi. Gli Stati Uniti, infatti, sono inviperiti, tanto da rinviare la visita a Washington della premier, annunciata da tempo. A poco serve, dunque, una difesa a spada tratta dei vertici dell’intelligence, di fronte agli alert degli americani sulla pericolosità di Uss e perfino alla sfilza di articoli sui giornali riguardo alle gesta del trafficante d’armi. Non basta l’incredibile giustificazione sul fatto che i servizi segreti non erano stati informati. A nulla, inoltre, servirà la macchinosa distrazione di massa sulle eventuali responsabilità nella vicenda del ministro della Giustizia Carlo Nordio e sui magistrati che avevano disposto la misura degli arresti domiciliari per il russo, arrestato a Malpensa dalla Polaria il 17 ottobre scorso, dopo aver girato in lungo e in largo il nostro Paese, senza che nessuno se ne accorgesse. Eppure era colui il quale, dai report di Washington, era a tutti gli effetti un uomo di Putin in missione speciale in Italia per operazioni strategiche volte a influire positivamente sulla guerra dello Zar, visto che acquistava dagli Stati Uniti componenti elettronici destinati ad equipaggiare aerei, radar e missili per poi rivenderli a compagnie russe ed eludere così le sanzioni in vigore. I nostri servizi di intelligence non se n’erano neanche accorti, o almeno così dicono, della presenza di quell’imprenditore russo sul suolo italiano. Il che rappresenta un gravissimo buco nella sicurezza nazionale, considerando il fatto che il compito di segnalare spie sul territorio è di competenza del controspionaggio italiano, come prevede la legge 124 del 2007. Dunque, se la giustificazione è che l’intelligence non era a conoscenza dell’esistenza di Uss è già di per sé un fallimento, ormai così evidente agli occhi degli americani, i quali volevano a tutti i costi che il russo fosse estradato per scambiarlo con il giornalista del Wall Street Journal Evan Gershkovich, arrestato per spionaggio da Putin. Tanto più che avevano ampiamente segnalato all’Italia l’elevato pericolo di fuga. Le indagini sull’esfiltrazione del trafficante di armi, però, stanno portando alla luce uno scenario ancor più grave, in grado di minare la credibilità italiana non solo sotto il profilo della competenza, ma sotto quello della lealtà agli ideali alla base dell’alleanza atlantica.
SEGNALI IGNORATI
Sotto la lente c’è la questione del braccialetto elettronico che Uss indossava durante la reclusione domiciliare nella villa di Basiglio e che, nel giorno della fuga, ha tagliato per poi darsela a gambe senza alcuna difficoltà, a bordo di suv neri in processione, degni dei migliori Men in black di Hollywood. Quel dispositivo, privo di Gps e non ancora trovato dagli inquirenti, suonò decine di volte prima dell’evasione del 22 marzo scorso. Almeno venti i segnali di allarme che, in quasi tre mesi, avevano costretto le forze dell’ordine a intervenire. E così, il giorno della fuga, l’allarme di manomissione del braccialetto elettronico era stato ignorato, con la convinzione che si trattasse di un malfunzionamento, circostanza ora esclusa dall’azienda che ha fornito il dispositivo. Che gli alert di un criminale russo a elevato rischio di fuga siano stati sottovalutati per indolenza o se dietro ci siano agenti deviati in concorso con gli 007 di Mosca, che hanno architettato l’esfiltrazione di Uss nei minimi dettagli, lo accerterà l’inchiesta in corso. Ma quei segnali ignorati, di fumo ne addensano molto sul nostro Paese e, suo malgrado, su Giorgia Meloni, che avrebbe dovuto essere informata dai servizi segreti dell’esistenza a casa nostra di una spia russa di nome Artem Uss.
DISTRAZIONE DI MASSA
Perché la fuga di Artem Uss, esfiltrato senza che la nostra sicurezza nazionale se ne accorgesse, apre a scenari inquietanti che, più che incompetenza, delineano condotte che meritano certamente nuovi profili investigativi. Senza contare che l’errore madornale fa il paio con la nomina di Paolo Scaroni all’Enel, sulla quale gli Stati Uniti avevano messo in assoluto il veto, in quanto l’immagine del manager è ormai marchiata dalle sue aperture a Vladimir Putin e dai favori concessi a Gazprom. Due macigni crollati inesorabilmente sulle relazioni tra Italia e Usa, di fronte alle quali sono emerse le difficoltà dell’esecutivo di Giorgia Meloni, la quale, forte del suo atlantismo, era riuscita fino ad ora a contenere le perplessità da oltreoceano sulle pulsioni filo russe della Lega e di Silvio Berlusconi. Gli Stati Uniti, infatti, sono inviperiti, tanto da rinviare la visita a Washington della premier, annunciata da tempo. A poco serve, dunque, una difesa a spada tratta dei vertici dell’intelligence, di fronte agli alert degli americani sulla pericolosità di Uss e perfino alla sfilza di articoli sui giornali riguardo alle gesta del trafficante d’armi. Non basta l’incredibile giustificazione sul fatto che i servizi segreti non erano stati informati. A nulla, inoltre, servirà la macchinosa distrazione di massa sulle eventuali responsabilità nella vicenda del ministro della Giustizia Carlo Nordio e sui magistrati che avevano disposto la misura degli arresti domiciliari per il russo, arrestato a Malpensa dalla Polaria il 17 ottobre scorso, dopo aver girato in lungo e in largo il nostro Paese, senza che nessuno se ne accorgesse. Eppure era colui il quale, dai report di Washington, era a tutti gli effetti un uomo di Putin in missione speciale in Italia per operazioni strategiche volte a influire positivamente sulla guerra dello Zar, visto che acquistava dagli Stati Uniti componenti elettronici destinati ad equipaggiare aerei, radar e missili per poi rivenderli a compagnie russe ed eludere così le sanzioni in vigore. I nostri servizi di intelligence non se n’erano neanche accorti, o almeno così dicono, della presenza di quell’imprenditore russo sul suolo italiano. Il che rappresenta un gravissimo buco nella sicurezza nazionale, considerando il fatto che il compito di segnalare spie sul territorio è di competenza del controspionaggio italiano, come prevede la legge 124 del 2007. Dunque, se la giustificazione è che l’intelligence non era a conoscenza dell’esistenza di Uss è già di per sé un fallimento, ormai così evidente agli occhi degli americani, i quali volevano a tutti i costi che il russo fosse estradato per scambiarlo con il giornalista del Wall Street Journal Evan Gershkovich, arrestato per spionaggio da Putin. Tanto più che avevano ampiamente segnalato all’Italia l’elevato pericolo di fuga. Le indagini sull’esfiltrazione del trafficante di armi, però, stanno portando alla luce uno scenario ancor più grave, in grado di minare la credibilità italiana non solo sotto il profilo della competenza, ma sotto quello della lealtà agli ideali alla base dell’alleanza atlantica.
SEGNALI IGNORATI
Sotto la lente c’è la questione del braccialetto elettronico che Uss indossava durante la reclusione domiciliare nella villa di Basiglio e che, nel giorno della fuga, ha tagliato per poi darsela a gambe senza alcuna difficoltà, a bordo di suv neri in processione, degni dei migliori Men in black di Hollywood. Quel dispositivo, privo di Gps e non ancora trovato dagli inquirenti, suonò decine di volte prima dell’evasione del 22 marzo scorso. Almeno venti i segnali di allarme che, in quasi tre mesi, avevano costretto le forze dell’ordine a intervenire. E così, il giorno della fuga, l’allarme di manomissione del braccialetto elettronico era stato ignorato, con la convinzione che si trattasse di un malfunzionamento, circostanza ora esclusa dall’azienda che ha fornito il dispositivo. Che gli alert di un criminale russo a elevato rischio di fuga siano stati sottovalutati per indolenza o se dietro ci siano agenti deviati in concorso con gli 007 di Mosca, che hanno architettato l’esfiltrazione di Uss nei minimi dettagli, lo accerterà l’inchiesta in corso. Ma quei segnali ignorati, di fumo ne addensano molto sul nostro Paese e, suo malgrado, su Giorgia Meloni, che avrebbe dovuto essere informata dai servizi segreti dell’esistenza a casa nostra di una spia russa di nome Artem Uss.
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