Quando Gianna è nell’anima
Che Letizia Toni fosse perfetta per il ruolo di Gianna Nannini se ne aveva il sentore sin da quando del biopic “Sei nell’Anima”, disponibile su Netflix dallo scorso 2 maggio, sono state diffuse le prime immagini. Ma da un certo momento in poi, gli aggettivi per definire l’intensità della sua performance non bastano più: quando la sceneggiatura vira sul racconto del disagio psichico che Gianna Nannini ha attraversato dopo il subitaneo successo di “America”, Letizia Toni ti fa dimenticare che sta indossando una maschera; la donna annichilita e persa che vediamo sullo schermo non è solo la rockeuse italiana per antonomasia, ma chiunque almeno una volta nella vita si sia sentito incapace di stare al passo con un sistema che ci vuole performanti a tutti i costi. Anche, o forse sarebbe da dire soprattutto, nel mondo della musica. Le cronache degli ultimi tempi ci consegnano il racconto di un’industria che, chiamata a raggiungere sempre più velocemente il profitto, dimentica spesso di avere a che fare con degli esseri umani e non con delle macchine sfornahit. Mi vengono in mente le recenti dichiarazioni di Giusy Ferreri («Un discografico mi disse che non importava a nessuno che uscisse un mio nuovo album. Dovevo andare a Sanremo con quella canzone, se andava bene, bene, altrimenti ciao») e lo stop che il giovane rapper Sangiovanni si è autoimposto dopo il Festival per salvaguardare la propria salute mentale («Credo tanto nella mia musica e in questo progetto ma in questo momento non ho le energie fisiche e mentali per portarlo avanti»). Che poi Gianna fosse una ribelle lo sapevamo già. Il padre è una figura centrale, “Sei nell’anima” la canzone che idealmente gli concede l’onore delle armi: da piccola lui le regalò una racchetta, forse voleva avviarla a una carriera agonistica nel tennis, ma lei la vendette per pagarsi le lezioni di musica; una volta perse addirittura apposta un match importantissimo e non indietreggiò di un centimetro nemmeno quando lui minacciò di disconoscerla se non avesse modificato la cover del singolo “America” (si vedeva la statua della libertà con un vibratore in mano, ndr). Questo è uno dei motivi per cui mi piacciono i biopic, non ne vedevo uno così centrato da “Io sono Mia” con Serena Rossi: perché raccontano particolari inediti della vita di un artista o te lo fanno (ri)scoprire. Il secondo sta nel loro connaturato lieto fine: sapere che, dopo mille peripezie, qualcuno ce l’ha fatta mi consola e mi sprona (per Gianna è “Fotoromanza” la canzone della rinascita). Certo, avere qualcuno che crede in te tanto da darti la chance della vita, aiuta: in “Sei nell’anima” Mara Maionchi, la prima a puntare su Gianna, e in questi giorni al centro di uno scontro a distanza con Tiziano Ferro, un altro dei suoi “pupilli”, è interpretata da Andrea Delogu: «Non ho cercato di imitare Mara perché è impossibile. Ho cercato di dare la mia immagine di una donna che voleva molto bene a Gianna ma non sapeva come scuoterla».
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