Editoriale

Qualcosa di sinistro

di Tommaso Cerno -


Qualcosa di sinistro

Che c’entra la casa di proprietà con la crisi della sinistra? E i risparmi degli italiani con il lessico di Elly Schlein che non piace a Lilli Gruber? C’era una volta il modello italiano, invidiato in giro per quel mondo occidentale che già speculava e guadagnava vent’anni fa sul credito al consumo. Ora invece tutto cambia. Accade silenziosamente qualcosa di sinistro. Basta leggere fra le righe per scorgere la rivoluzione silenziosa che sta incrinando la struttura sociale del Paese.

L’Italia che zitta zitta sta cambiando pelle. Sulla sua stessa pelle. Il debito delle famiglie sale. Ci tiene dentro i beni voluttuari, che ormai sono diventati come il pane che mangiamo, dal cellulare alle scarpe firmate, che si comprano al posto di andare dal dentista, la rata dell’auto, che ci piace solo di quel colore, quella della borsa a noleggio divisa con le amiche, quella della lavatrice che poi resta ferma, quella del mutuo che sale a suon di tassi. E cosi con l’inflazione e il 4,50% di gabella Bce, con la crisi economica, con la transizione che sta per arrivare sulle nostre teste nei prossimi anni, chi sa fare bene i conti e si sta organizzando con società piene di soldi, crediti, affidamenti per venire a comprarsi quel che resta della nostra vecchia Italia sa bene che milioni di persone non ce la faranno.

E che quelle fantomatiche case verdi che entro il 2030 dovremo presentare all’Europa saranno in buona parte ristrutturate dai nuovi proprietari. Quelli che arriveranno. Mandati da grandi fondi internazionali, che nel frattempo non si saranno comprati solo casa nostra ma anche quei debiti che abbiamo sulla nostra carta. E noi vivremo in affitto restituendo piano piano quel che dobbiamo. E così succederà come è successo in America che man mano che restituiamo un po’, ci sarà dato altro, a un prezzo sempre più elevato.
E’ tutta qui la strana sensazione che proviamo. La distanza fra l’economia reale, la possibilità materiale di vivere nel nostro Paese come avevamo sempre fatto, come ci avevano insegnato i nostri genitori, e i numeri della macroeconomia, i grandi capitali che arrivano e quei soldi facili che tu non puoi avere ma qualcun altro ha in quantità enorme. Stiamo per viverlo sulla nostra pelle.

Ecco che qui dentro le maglie di questo ritratto dei nuovi italiani sta il limite della sinistra. Il non comprendere che la distanza che si è creata tra il Pd e quel pezzo d’Italia che aveva guardato e creduto in una rivoluzione progressista riguarda il fatto che ci troviamo di fronte un partito che criticava il capitalismo quando questo era migliorabile ma si occupava dei poveri. Mentre ha smesso di contestarlo e di costruire un’alternativa economica proprio nel momento in cui quel modello di società dimostrava i suoi limiti. È una specie di tradimento inconsapevole di una natura più profonda delle singole parole d’ordine che Elly Schlein continua a pronunciare in televisione. E la correzione linguistica che Lilli Gruber le ha fatto qualche giorno fa è la prova che c’è una stonatura nel linguaggio.

E questa stonatura è figlia proprio di questo tradimento. Non si possono avere le idee chiare su cosa è giusto o sbagliato fare per ottenere l’obiettivo più profondo che una sinistra ha come compito implicito del proprio mandato politico e sociale, portare l’uguaglianza di fatto nella società diseguale, se non si comprende che il nemico non è il premier di turno della coalizione opposta, che rappresenta la derivata dell’aspettativa di un Paese deluso, ma è il virus che ha trasformato il Paese in un soggetto malato che tu hai il compito di diagnosticare e di tenrare di curare. Quel virus è infilato dentro il corpo di una società guidata da un sistema dove non è il ricco il problema, ma il proprietario dei debiti di chi è stato escluso.


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