Progresso contro burocrazia
di Michele Gelardi
I progressisti amano il progresso, va da sé; ma lo amano tanto, da ostacolarlo in tutti i modi. Nelle grandi questioni delle fonti energetiche e delle infrastrutture, sono sempre dalla parte del “no”; nelle questioni attinenti all’iniziativa imprenditoriale del quisque de populo, a torto ritenute piccole, si dolgono dell’insufficiente controllo pubblico e ne invocano di ulteriore. Dovrebbero riflettere sul seguente paradosso: se Cristoforo Colombo avesse dovuto chiedere l’autorizzazione a scoprire l’America, non avrebbe potuto scoprirla. Il funzionario pubblico, al quale il buon Cristoforo si fosse rivolto per ottenere il permesso, gli avrebbe risposto che l’America non esiste e avrebbe emesso un provvedimento di rigetto.
La ragione è facilmente intuibile: le procedure burocratiche non possono contemplare il nuovo. Qualunque elemento che modifica il protocollo predefinito e sperimentato turba il procedimento amministrativo e inibisce l’atto di accoglimento. Non è colpa del funzionario; il rifiuto del nuovo deriva dai caratteri intrinseci e necessari dell’atto pubblico. Affinché sia assicurata l’assenza di interesse privato, deve essere inibita qualsiasi iniziativa personale del funzionario pubblico. L’atto amministrativo deve essere prefissato in tutti i suoi aspetti, in modo che non sussista alcun margine di discrezionalità, nel quale si possa annidare l’interesse privato dell’organo decisionale. Ebbene: cosa accade, se la burocrazia pubblica controlla e autorizza preventivamente il 100% dell’attività d’impresa? Semplice: nessuna impresa potrà dar vita a qualsivoglia innovazione.
Fortunatamente si tratta di un’ipotesi di scuola. Non siamo ancora pervenuti al limite teorico del 100%; ma in Italia ci siamo molto vicini. Nel campionato mondiale di “efficienza ostativa della burocrazia”, siamo certi di classificarci ai primi posti. La nostra posizione di preminenza è assicurata da fattori quantitativi e qualitativi. In quantità il nostro castello burocratico, costituito di apparati con competenze distinte, ma anche sovrapposte e talvolta perfino contrapposte, non teme confronti. Nessuno conosce il numero preciso di ministeri, assessorati, enti, istituti, provveditorati, sovrintendenze etc., che compongono il castello di Kafka in Italia; ma i cittadini ne conoscono bene il peso, gravante sulle loro spalle. Inoltre, gli italiani sono afflitti da una specifica “qualità” delle procedure amministrative, sconosciuta agli altri abitanti di questa terra. Per esempio, hanno imparato a conoscere il famigerato “nulla osta”, il quale sta a significare che l’esercizio del loro diritto è ostacolato da un invisibile impedimento, rimosso bontà sua dalla pubblica amministrazione con un bel certificato. Infatti, se nulla osta adesso, post certificatum, vuol dire che un misterioso quid ostava prima, ante certificatum. In sintesi, vige in Italia il principio che impedisce a Cristoforo Colombo di scoprire l’America: “è lecito solo ciò che è espressamente autorizzato”, esattamente opposto al principio liberale “è lecito tutto ciò che non è espressamente vietato”.
Ovviamente tutte le procedure amministrative di autorizzazione preventiva (tanto per le grandi, quanto per le piccole opere) vengono giustificate in nome della necessità di prevenire un qualche pericolo. Per esempio, si devono prevenire le possibili “proteste” dei delfini, inquietati dalla costruzione del ponte di Messina; e non si devono costruire centrali nucleari, per evitare una seconda Chernobyl, la cui probabilità è pari a zero, come pacificamente riconosciuto da tutti i nostri vicini che ci forniscono l’energia.
In conclusione: è azzardato sostenere che tanta parte del declino italiano si deve alla paralisi dell’innovazione da ipertrofia burocratica, indotta dalla sinistra attenzione della sinistra alla “prevenzione” di tutti i possibili – e perfino impossibili – mali di questa terra?
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