PROFESSIONE GATTOPARDO
Tommaso Cerno
Il Gattopardo della politica si è risvegliato. Anzi è diventato un mestiere. Ormai si fa per professione. Tutto cambia perché nulla cambi. Un premier donna ma una destra che fatica a voltare pagina. Un capo donna della sinistra ma sotto di lei le stesse facce degli ultimi vent’anni in un minestrone riscaldato. I diversi tentativi al centro che sono come il gioco dei bussolotti, quando alzi sotto c’è sempre la stessa carta. Il rinnovamento mancato del nostro Paese si spiega facilmente. Di fronte alle sfide di un mondo che cambia ci rendiamo conto che la nostra classe dirigente si è abbarbicata nel palazzo elettorale che toglie al popolo la possibilità di eleggere e scegliere i propri rappresentanti, e si spartisce potere e contropoteri in un gioco delle parti che esclude il vero rinnovamento. Come è possibile immaginare che da questi continui rimescolamenti possa uscire quella energia che un Paese stremato e stanco deve poter produrre per ripartire? Ciò che esce al contrario è un’entropia che mostra tutta la staticità del sistema Italia e confligge con le sfide moderne che chiedono teste e facce nuove. Il tiramolla di questi giorni fra Renzi e Calenda, forse il punto più basso di quella che un tempo era la politica dei leader e che oggi è solo il braccio di ferro di figure solitarie, è la sigla perfetta per questa ammuina eterna che fa dell’Italia un Paese che guarda indietro. Serve che da sotto, là dove alberga la democrazia, dal popolo italiano si alzi una voce chiara che chieda che a idee nuove e parole d’ordine nuove corrispondano cervelli nuovi. Deve l’Italia sabotare questo sistema apparentemente impenetrabile ma in verità fragile. Deve pretendere una rappresentanza che nasca dalle idee e non al contrario idee che funzionano come una maschera per i soliti personaggi in cerca di nuovi autori e nuove sceneggiature per la loro permanenza al potere. È inutile fare guerre sanguinarie in nome della democrazia e poi consentire a un drappello di persone di prendere in giro un intero Paese mutando nomi e collocazioni politiche pur di non mutare i protagonisti di questa epoca. La capacità della democrazia è quella di risolvere a volte da sola ciò che i suoi delegati non intendono affrontare. E la situazione in cui versa il Paese, i milioni di poveri, il dossier che ci dice che un giovane su quattro è destinato ad essere un povero è il risultato di politiche che hanno fallito e che devono essere sostituite in fretta. Non da un maquillage ma da una vera svolta italiana. E invece il sistema politico si sostiene grazie a un rapporto binario di odio reciproco fra schieramenti, leader, protagonisti vari di questa stagione. Non c’è la ricerca dialettica di soluzioni come suggerisce la democrazia parlamentare, ma piuttosto l’idea magica di possedere una verità per tutto da usare come arma contro l’avversario, in un gioco delle parti che esclude di fatto la maggioranza degli italiani e che si autosostiene in eterno. Parte da qui la sensazione che votare non serva che tanto non cambia nulla, che tanto pagano sempre gli stessi. Il problema è che questo sentiment è stato voluto dalla politica, perché in virtù di questa idea che una classe dirigente stracotta può perpetuarsi ancora. Quello che a noi sembra uno scontro è in realtà un grande accordo fatto di violenza e di distanze incolmabili che danno l’impressione di un sistema vario quando invece stanno recitando la parte dei nemici ma poi, a microfoni spenti, sono tutti una grande famiglia.
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