C’è un giudice a Washington: sospeso il processo a Trump
C’è un giudice a Washington. Il processo a Donald Trump per i fatti di Capitol Hill è stato rinviato. A differenza di quanto s’è visto, per decenni, in Italia e a differenza di quanto si stava pedissequamente avverando negli Stati Uniti, è arrivato il congelamento, o meglio la sospensione, del procedimento già calendarizzato per il 4 marzo prossimo. Il giudice Tanya Chutkan, in attesa di conoscere quale sarà la posizione della Corte d’Appello federale del District of Columbia in merito all’immunità presidenziale invocata dai legali del tycoon, ha deciso di sospendere il processo senza fissare, almeno per il momento, una nuova data. Si tratta di una buona notizia per Trump che avrà, almeno, un pensiero in meno durante questa campagna elettorale per la rivincita contro Joe Biden. Ma, come insegna la saggezza orientale, in ogni cosa buona c’è il germe del negativo. Trump ha, insieme a un grattacapo, anche un’arma politica in meno da agitare sull’agone, già polarizzato e fortemente diviso e divisivo delle elezioni americane. Una notizia che arriva dopo le dichiarazioni del Segretario di Stato del Colorado Jena Griswold che, alcuni giorni fa, ha incalzato i giudici della Suprema Corte di Denver affinché disponessero, subito, l’incandidabilità di Trump e la conseguenziale sua esclusione dalla battaglia delle primarie del Gop. Talleyrand consigliava sempre “pas trop de zéle”, di fare le cose senza furia. Un insegnamento politico che l’ala dem della politica americana, evidentemente, ha deciso di ignorare. Dando ai repubblicani un altro argomento per affezionarsi, ancora di più, a un candidato percepito sempre più come “anti-sistema”.
Ma non ci sono solo il processo o le grane giudiziarie in cima ai pensieri di Trump. Nel frattempo, però, The Don continua la sua campagna elettorale e lo fa piazzando un altro nome eccellente nel mirino. Che sembrerebbe “tecnico” ma che in realtà potrebbe rivelarsi un’arma politica importante. Il candidato repubblicano (Nikky Haley permettendo) ha messo nel mirino Jerome Powell, governatore della Federal Reserve. Powell è il “padre” della strategia ultra-rialzista sui tassi. Che ha causato, anche negli Stati Uniti, più di un problema economico e finanziario. A cominciare dal crac delle banche regionali, Silicon Valley Bank è stata solo la prima tessera a cadere nel domino del sistema americano, causato proprio dai rialzi dei tassi e dalle perdite accumulate per far fronte al pagamento degli interessi. “Mi sembra che stia abbassando i tassi per far eleggere quelle persone”, ha tuonato Donald Trump riferendosi alle ultimissime decisioni della Fed mettendole in connessione con il clima elettorale che agita il dibattito pubblico americano. A Fox Business, il tycoon che ambisce a tornare alla Casa Bianca ha dunque accusato Powell di essere “uomo” di Biden e dei democratici quando, invece, per mandato il governatore della Fed decide, sua sponte e senza rispondere né al Congresso né al Presidente in carica, le politiche da attuare. In America, certe cose, le prendono in maniera molto più seria che da noi in Europa. La politica non può mettere le mani sulla “cassa” né su chi decide quali saranno le strategie del dollaro. Indicare in Powell un esecutore delle volontà democratiche consente a Donald Trump di continuare ad agitare il fantasma del Deep State contro cui si erge quale unico e solo paladino.
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