Processo a Moussa Sangare tra premeditazione e perizia psichiatrica
In questa rubrica e su questa testata si è scritto a lungo dell’omicidio compiuto nella notte tra il 29 ed il 30 luglio dello scorso anno in via Castegnate a Terno d’Isola, in provincia di Bergamo, ai danni di una ragazza di 33 anni che passeggiava da sola vicino a casa sua verso la mezzanotte. Moussa Sangare ha ucciso a coltellate Sharon Verzeni senza un movente razionale, ha confessato il suo crimine dopo il crollo del castello di carta delle sue bugie, dichiarando di aver agito mosso da un «feeling», che quando incrociò Sharon e tornò indietro in bicicletta per ucciderla, sapeva che «qualcosa sarebbe successo, ho seguito quell’onda». L’ha accoltellata anticipandoglielo: «Scusa per quello che sto per fare». Prima allo sterno e poi tre volte alla schiena, inseguendola, alle spalle dunque a sigillare l’infame vigliaccheria del suo gesto. Al Gip ha dichiarato di esser “uscito di casa con la sensazione di voler fare del male” confermando inoltre di essersi esercitato nei giorni precedenti all’omicidio con una sagoma. Sempre su questa rubrica si insiste spesso sulla contestazione della premeditazione, un aggravante prevista per l’omicidio dal n. 3 dell’art. 577 del codice penale che fa applicare al giudice la pena dell’ergastolo. Sebbene non sia facile provare che la volontà di uccidere quella vittima determinata sia maturata e si sia protratta per un apprezzabile lasso di tempo, la psicologia giuridica e la criminologia dovrebbero, a parere di chi scrive, indagare meglio l’elemento soggettivo di questi assassini, che uccidono senza un motivo plausibile, ma in genere studiano le loro vittime, le abitudini di queste e agiscono con il c.d. dolo di proposito. Insensato inoltre ammettere perizie psichiatriche nel dibattimento dinanzi alla Corte d’Assise dove avrebbero la funzione di discutere dell’imputabilità del reo che, salvo casi eccezionali, non dovrebbe neanche essere messa in discussione. Diagnosi di psichiatri forensi sarebbero invece utili per analizzare il piacere malvagio di questi criminali, per prevenire le loro azioni che non sono mai frutto di stati emotivi o passionali momentanei bensì di odio covato a lungo e nutrito di droghe e alcool. Queste non incidono di regola sull’imputabilità del reo, ovvero
sulla sua capacità di intendere e di volere, perché assunte liberamente ed in genere con la consapevolezza degli effetti. Il profilo di Moussa Sangare, per quanto si può ricavare dalle notizie in rete, sembrerebbe infatti escludere qualsiasi infermità o semi infermità di mente e lo stesso pubblico ministero ha dichiarato che l’assassino era “pienamente consapevole delle proprie azioni.” Eppure la Corte ha ammesso la perizia. E questo fa temere per la valutazione della circostanza aggravante della premeditazione di cui sopra, al momento di redigere la sentenza. Senza contare che ammettere la perizia ha dilatato a dismisura i tempi del processo e questo è un’ingiustizia in sé ed una inutile vittimizzazione secondaria della famiglia. Chiaramente vizio di mente totale o parziale e premeditazione sono agli antipodi e sono inconciliabili. Quest’ultima infatti rappresenta il massimo grado di volontà di uccidere e quindi di imputabilità che nel caso di Mousse Sangare sembrerebbe impossibile non rilevare e dunque decidere nel senso della condanna alla pena dell’ergastolo. Ogni pena invece, salvo il ricovero in una REMS, sarebbe esclusa riscontrando l’infermità mentale. Tuttavia la stessa medicina forense esclude che azioni del genere si possano spiegare con dei raptus improvvisi che abbiano un fondamento neuropsichiatrico. Questi omicidi sono voluti, meditati e premeditati a lungo e sono il frutto di personalità criminali particolarmente violente alla quali non eravamo abituati e che in parte si spiegano con l’immigrazione, in parte no. Si tratta in genere di ragazzi giovani, di tutte le origini, italiana compresa, che vivono con il culto della violenza.
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