Attualità

PRIMO PIANO – Mani Pulite e vite spezzate: una lunga striscia di morte

di Marina Cismondi -


Lo scorso 9 dicembre si apriva la camera ardente allestita per Paolo Pillitteri a Palazzo Marino e il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha proclamato il lutto cittadino per il giorno del funerale.
Il passare degli anni, trenta dalla fine della celebrata epopea “Mani Pulite”, ha ormai sbiadito quasi del tutto il ricordo di quel discusso periodo dove Pillitteri subì ben altro trattamento: nel maggio del 1992 finì, come tanti altri, sulle prime pagine dei quotidiani per aver ricevuto un avviso di garanzia, unitamente al sindaco suo predecessore, Carlo Tognoli, entrambi accusati di ricettazione.
Un periodo storico decisamente controverso, con zone d’ombra sulle quali non è mai stata fatta piena luce e dove risulta tutt’oggi difficile la ricerca di informazioni non mediate da schieramenti ideologici o da interpretazioni di parte.
E’ il 17 febbraio 1992, quando i carabinieri, capitanati da quello che diventerà il protagonista indiscusso di questa storia, il pittoresco sostituto procuratore Antonio Di Pietro, fanno irruzione nell’ufficio del socialista Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, colto in flagrante mentre accetta una tangente di sette milioni di lire dall’imprenditore Luca Magni che voleva assicurarsi l’appalto per le pulizie dell’ospizio milanese. Magni aveva contattato il magistrato per denunciare Chiesa e insieme decisero di incastrarlo. In seguito all’arresto, Chiesa venne espulso dal PSI e Bettino Craxi, intervistato dal TG3, lo definì un “mariuolo” isolato.
Ma rinchiuso a San Vittore, dopo cinque settimane di carcere, Chiesa decide di vuotare il sacco. L’interrogatorio dura più di una settimana e vengono fatti i nomi di altri imprenditori che versavano tangenti ad altri politici e, con effetto “domino”, i politici chiamati in causa fanno i nomi di altri imprenditori che a loro volta fanno il nome di altri politici.
Tutti i partiti sono coinvolti, le tangenti venivano ripartite in percentuali ben definite, il 90% se lo dividevano PSI, DC e l’ex PCI.
Un solo pm non basta e nasce il pool di “Mani Pulite”. A Di Pietro si affiancano Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Francesco Greco, Gerardo D’Ambrosio, Ida Boccassini, Armando Spataro e Tiziana Parenti coordinati dal Procuratore Capo Francesco Saverio Borrelli. Gli indagati saranno più di 4.500 e la strategia dei procuratori è l’uso e l’abuso della custodia cautelare con un susseguirsi di testimonianze pur di uscire dal carcere. Si forma anche un “pool di cronisti”, a tutti gli effetti una sorta di ufficio stampa della Procura, che deve sbattere in prima pagina l’indagato o l’arrestato del giorno e che deve aprire ogni telegiornale con lo sfondo del Palazzo di Giustizia.
Viene a crearsi un clima di giustizialismo quotidianamente alimentato, i politici fino ad allora lusingati e riveriti vengono dati in pasto alle piazze.
Ma non tutti reggono la pressione. E non tutti sono colpevoli.
Il primo a suicidarsi è Franco Franchi, dirigente di una USL, poi Renato Amorese, ex segretario del PSI di Lodi, seguito da Mario Maiocchi, vicepresidente ANCE (Ass.Nazionale Costruttori Edili).
Il 2 settembre ’92 si suicida il deputato socialista Sergio Moroni. Aveva ricevuto due avvisi di garanzia relativi a suoi incarichi in Lombardia.
Lascerà una lunga lettera indirizzata all’allora presidente della Camera, Giorgio Napolitano, dichiarando di non aver mai operato in modo illecito, di non poter accettare di essere definito “ladro” ed augurandosi che il suo gesto estremo possa servire ad evitare ad altri processi sommari in piazza o in televisione.
A Ottobre ’93 inizia il processo a Sergio Cusani, intermediario del gruppo Ferruzzi, il principale processo giudiziario di “Mani Pulite”, che vede coinvolti i maggiori esponenti politici nazionali, accusati di essersi spartiti una maxi tangente da 150 miliardi di lire. Un finanziamento illecito ai partiti per favorire la nascita di Enimont (fusione tra EniChem e Montedison).
Non saranno presenti due imputati, morti nel luglio di quell’anno, a distanza di tre giorni uno dall’altro: Gabriele Cagliari, presidente dell’Eni, suicida in cella, dopo 4 mesi di detenzione e 14 interrogatori e Raul Gardini, socio di maggioranza Montedison tramite il Gruppo Ferruzzi, suicidatosi dopo aver saputo che stava per essere indagato.
Saranno 41 i suicidi (o presunti tali) legati alle inchieste del pool Mani Pulite: “i suicidi furono prodotti non tanto dalla detenzione in carcere, perché quasi tutti si uccisero fuori dal carcere e molti anche dopo essere stati prosciolti. Era il clima dell’opinione pubblica che era insopportabile per chi avesse avuto comunque il marchio dell’indagine giudiziaria” dichiarò Nando Dalla Chiesa a “Blu Notte”.
Davigo, ex magistrato del pool, ha dichiarato un anno fa a “Mucchio Selvaggio” : “le conseguenze dei delitti ricadono su quelli che li commettono, non su coloro che li scoprono e li reprimono». Quando gli viene chiesto se fosse dispiaciuto per i suicidi, l’ex pm ha risposto: “Ma certo che dispiace, prima di tutto se uno decide di suicidarsi lo perdi come possibile fonte di informazioni”.
Bettino Craxi dal suo esilio tunisino disse: “La storia di questi anni sarà riscritta bene, in tutti i suoi aspetti, in tutti i suoi capitoli, in tutti i suoi personaggi ed in tutti i suoi falsi eroi”.
Finora ben pochi lo hanno fatto.


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