Cronaca

PRIMA PAGINA – ’Ndrangheta, escalation nella Locride: nuova faida tra clan

di Rita Cavallaro -


Omicidi, lupare bianche, proiettili e nomi pesanti: è l’escalation criminale nella Locride, il fortino della ‘ndrangheta che conta, con le giovani leve in fermento e l’ombra di una nuova faida tra clan. Negli ultimi tre mesi sul territorio è tornata la paura, perché la “pax” istituita dalla più grande organizzazione mafiosa transnazionale, ormai una holding infiltrata nella finanza mondiale e l’unica interlocutrice dei cartelli colombiani, è stata violata da fatti di sangue ancora irrisolti, ma che hanno già acceso i riflettori investigativi nella roccaforte delle ‘ndrine. In quella San Luca controllata dalle famiglie Pelle, Nirta e Strangio, i clan che con la strage di Duisburg del 15 agosto 2007 rivelarono al mondo la pericolosità della ‘ndrangheta calabrese.
È nelle campagne limitrofe alla cittadina situata alle pendici dell’Aspromonte, nella zona tra Bianco e Bovalino, che il 18 novembre scorso un’auto ritrovata bruciata ha aperto un’inchiesta che sta rivelando il fermento per i nuovi assetti di potere. In quella macchina, gli inquirenti trovarono dei resti carbonizzati, che in un primo momento furono catalogati come ossa di animali, ma che, a seguito delle analisi scientifiche, risultarono essere umani. Gli investigatori, ancora oggi, mantengono il massimo riserbo sull’identità dell’uomo e sulle cause della morte, perché la conferma del nome e l’accertamento del delitto è così pesante da necessitare la massima cautela. La macchina, infatti, è di proprietà di Antonio Strangio, un allevatore di 42 anni, senza precedenti penali ma coinvolto in inchieste sul narcotraffico. Antonio è soprattutto figlio del boss 70enne Giuseppe Strangio, della famiglia soprannominata dei “Barbari” perché considerata “gente spietata”, legata all’altrettanto storico clan dei Mammoliti. Giuseppe è una figura di spicco del periodo dell’anonima sequestri: fu condannato in via definitiva per il rapimento di Cesare Casella, sequestrato a Pavia nel 1988 e rilasciato due anni dopo dietro pagamento di un riscatto, e di quello di Carlo De Feo, l’industriale napoletano rapito nel 1983 e rimasto prigioniero per un anno. Antonio Strangio era svanito nel nulla una settimana prima e il ritrovamento della sua auto con quella carcassa carbonizzata ha alimentato un clima surreale e teso a San Luca, quando la famiglia ha affisso manifesti funebri, su cui c’era scritto: “Le famiglie Strangio e Scalia ringraziano a tutta la popolazione ma dispensano dalle visite”.
E a due mesi dal presunto delitto Strangio, a Bovalino partono i colpi di pistola. Il 9 gennaio, in località Ficarelle dove si trovava ai domiciliari, a pochi chilometri dal rinvenimento dell’auto di Strangio, viene freddato con una raffica di proiettili Giancarlo Polifroni, pregiudicato di 50 anni da poco uscito dal carcere, legato alle cosche della Locride e della Piana, con una condanna per omicidio sulle spalle e un passato legato al narcotraffico. Anche sul suo omicidio gli investigatori mantengono il massimo riserbo, ma la pista privilegiata è proprio una vendetta della ‘ndrangheta, che si inserirebbe nel giro per il controllo del traffico di droga. E che non esclude legami con il caso Strangio, nell’ambito della possibile faida tra famiglie. Due settimane dopo, invece, ad attirare l’attenzione investigativa, sempre a Bovalino, è stata una busta con due proiettili e un messaggio, il cui contenuto è rimasto riservato, recapitati la mattina del 20 gennaio ad Antonella Rodà, direttrice dei Servizi generali e amministrativi dell’Istituto comprensivo “Mario La Cava”. La busta, indirizzata alla professionista, è stata trovata dal personale all’apertura della scuola: era stata lasciata nell’atrio. I carabinieri hanno acquisito le immagini delle telecamere, per risalire agli autori dell’atto intimidatorio, ma anche su questa vicenda c’è riserbo.
Insomma il mistero dei proiettili, il giallo delle ossa carbonizzate presumibilmente di Strangio e il delitto opaco di Polifroni: tre episodi preoccupanti che, nella Locride di quella ‘ndrina che conta, non possono passare inosservati. Perché in quel territorio, funestato in passato da terribili faide sanguinarie e quasi militarizzato nella stagione dei sequestri di persona, ormai da decenni regnava una pace, sebbene flebile, ma necessaria in nome del business. I boss della vecchia guardia sapevano bene che sangue e pallottole attirano troppo l’attenzione e fanno male agli affari. Ma le nuove generazioni, cresciute con i film di Gomorra e l’ostentazione degli influencer, sono più sfacciate.

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