Attualità

PRIMA PAGINA – La grande fuga, l’Italia perde i suoi giovani dal futuro incerto

di Marina Cismondi -


Immaginiamo una città di quasi settecentomila abitanti che, anno dopo anno, si svuota completamente, una città un po’ più piccola di Torino ed un po’ più grande di Palermo. Avremo così una visione tangibile del numero di giovani italiani, nella fascia d’età compresa fra i 18 ed i 34 anni, che hanno lasciato l’Italia fra il 2011 ed il 2024. Sono infatti 691.000 i giovani che hanno fatto le valigie per studiare o lavorare all’estero. Solo lo scorso anno, con un aumento del 36% rispetto al 2023, hanno lasciato il nostro paese oltre 113 mila giovani al di sotto dei 39 anni, su un totale di 156 mila italiani che hanno deciso di migrare. Quindi oltre il 72% dei nostri connazionali che hanno preso residenza in un altro paese ha meno di quarant’anni. E di questa massa di giovani che ha deciso di abbandonare le proprie famiglie, le amicizie, i paesi e le città dove sono nati, quasi il 50% è laureato. Fenomeno che ha un impatto rilevante sullo sviluppo nazionale, poiché sono risorse umane formate con investimenti pubblici che porteranno altrove le loro competenze. Gli italiani si spostano in Germania, Francia, Spagna, Regno Unito, mentre l’Italia è il fanalino di coda europeo per attrattiva di giovani dall’estero. Il nostro paese va bene per le vacanze, ma solo un 6% dei giovani europei che cambiano nazione la scelgono, mentre oltre un 34% sceglie la Svizzera e quasi il 32% la Spagna. In pratica per un giovane europeo che entra nel nostro paese, nove italiani lo lasciano. Ma quali sono le motivazioni che spingono i nostri giovani ad andare altrove? Cercano all’estero un lavoro ed una qualità della vita migliori, delle opportunità di studio più formanti a sbocchi lavorativi e salari più alti. Tutte situazioni che sono la chiara denuncia di una nazione che non è in grado di offrire loro un lavoro adeguato agli studi conseguiti o alle loro capacità, che impone orari lavorativi che vanno a ledere il benessere personale, che investe sempre meno nella cultura e nella ricerca e che offre retribuzioni non in grado di permettere ai giovani di mantenersi dignitosamente. Va anche detto che l’Italia ha un tasso di disoccupazione per gli under 35 del 21,3% contro il 14,1% della media europea e che per combattere la disoccupazione investe solo lo 0,2% del Pil, contro un valore europeo dello 0,6%. Per quanto riguarda chi ha in tasca una laurea, l’Italia è penultima in Europa per livello di occupazione dei neolaureati, mentre il tasso di giovani che non lavorano e non studiano è tra i più alti al mondo. E chi invece il lavoro ce l’ha, spesso e volentieri è a condizioni a dir poco mortificanti. Oltre il 40% degli under 35 ha un contratto a tempo determinato e la retribuzione media dei contratti a termine è di circa novemila euro annui, che scende a meno di 6.500 euro per gli impieghi stagionali. A fronte di una retribuzione media annua intorno ai 23 mila euro lordi annui nel settore privato, già tutt’altro che adeguata a sostenere i costi di un nucleo famigliare, gli under 35 percepiscono circa un 30% in meno. Con queste condizioni contrattuali e con queste retribuzioni impensabile ottenere finanziamenti e mutui dalle banche, impossibile crearsi una propria famiglia e l’ affermazione che le nuove generazioni non hanno voglia di lavorare e preferiscono continuare a fare i bamboccioni, comodamente installati nel nido genitoriale, è decisamente semplicistica. Una delle ovvie conseguenze è il calo della natalità: con 1,18 figli per donna nel 2024 viene superato il minimo di 1,19 del 1995, anno nel quale erano però nati 526mila bambini a fronte dei 370mila del 2024 (diecimila in meno rispetto al 2023). E siamo lontani anni luce dal “baby boom” degli anni ’60, dove nascevano in Italia più o meno un milione di bambini all’anno. Secondo gli indicatori demografici dell’Istat appena pubblicati, calano anche i decessi ed il saldo naturale, ovvero la differenza tra nascite e decessi, è ancora fortemente negativo (-281mila). Senza provvedimenti per invertire questa tendenza – e non sarà sicuramente risolutivo il bonus di mille euro per i nuovi nati nel 2025 – l’Italia continua il suo inesorabile cammino che la sta trasformando in un paese di vecchi, a cui sarà sempre più complicato assicurare un trattamento pensionistico decente. E mentre si continua a parlare degli extracomunitari che sbarcano sulle nostre coste, cercando soluzioni più o meno sensate e glorificando la riduzione degli ingressi, i dati dicono che a fronte di circa 130 mila migranti che sono entrati nel nostro paese negli ultimi quattro anni, nello stesso periodo quasi 500 mila italiani lo hanno invece lasciato. Ma di questa fuga ci si cura ben poco, sia a livello mediatico che a livello governativo. Lo si considera solo un problema, uno dei tanti di questa nazione. Dovrebbe invece essere “il problema” e si dovrebbe agire immediatamente su più fronti, dalla revisione della fiscalità e delle contrattazioni salariali agli investimenti per contrastare la disoccupazione, dagli aiuti economici concreti a chi vuole costruirsi una famiglia ad una formazione scolastica idonea a creare adeguati sbocchi lavorativi, dall’incremento dei fondi destinati alla cultura ed alla ricerca ad un reale sostegno alla maternità, solo per fare alcuni esempi. Azioni che già da anni sarebbero dovute essere la priorità dei governi in carica. Oppure possiamo continuare a suonarcela e cantarcela come l’orchestrina del Titanic, continuando a considerarci una grande potenza mondiale, anche se la classifica delle economie più competitive, redatta dall’International Institute for Management Development (una scuola di business fra le più importanti al mondo), nel 2024 ci relegava, su 67 paesi analizzati, al 57° posto per conti pubblici, sistema di tassazione, ambiente sociale/istituzionale e legislazione per le imprese ed al 58° posto per l’occupazione.


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