PRIMA PAGINA – Gli ultimi fuochi delle toghe rosse
Le stanno provando tutte, le toghe rosse, pur di tentare di fermare la riforma della giustizia che mette fine allo strapotere delle correnti di sinistra. Dai provvedimenti per mandare all’aria il modello Albania alle proteste per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, fino allo sciopero del 27 febbraio: la ribellione della magistratura politicizzata mostra una giurisdizione in tilt, che punta a innalzare ai massimi livelli lo scontro con il governo per conservare gli interessi di una corporazione che, ormai, ha raggiunto il picco più basso nel consenso dei cittadini. Perché ormai da trent’anni, con l’eliminazione del Pentapartito demolito da Mani Pulite e l’accanimento giudiziario verso Silvio Berlusconi, gli italiani chiedono un cambiamento radicale nella giustizia, macchiata da inchieste politiche usate come una clava per eliminare l’avversario che vince alle urne. E quel mantra che ripeteva il Cavaliere, che definiva le toghe rosse il braccio armato della sinistra, è tornato d’attualità davanti all’azione del governo Meloni, che sta portando avanti la promessa elettorale della riforma, peraltro senza ancora la responsabilità dei magistrati che sbagliano, e che ha già ottenuto il primo risultato sulla via del cambiamento. Il sì della Camera alla separazione delle carriere ha scatenato l’ira di quei magistrati che avevano previsto l’inizio della fine. Quelli come il giudice Marco Patarnello, attivista di Magistratura democratica e in corsa ai vertici dell’Anm, che aveva lanciato l’allarme già mesi fa, quando in una mail inviata a centinaia di colleghi definiva la premier Giorgia Meloni più pericolosa di Berlusconi, perché non si muove per un salvacondotto, non avendo inchieste giudiziarie a suo carico, ma sulla base di una visione politica che avrebbe potuto mettere a rischio la giurisdizione. E “chiamava alle armi” l’Anm e il Csm, affinché procedessero uniti contro la riforma. Quella ribellione è arrivata, con il sindacato delle toghe che ha dettato la linea delle proteste e il Csm che addirittura vuole “processare” il ministro della Giustizia Carlo Nordio. D’altronde il restyling dell’organo di autotutela della magistratura, presieduto dal Capo dello Stato e che secondo la Costituzione dovrebbe garantire l’autonomia e l’indipendenza delle toghe, è l’altro dei punti cardine della riforma, che cambia le regole e fissa nel sorteggio la composizione del Csm. Ed è questo il boccone più amaro da ingoiare per le correnti di sinistra, che private delle nomine perderebbero il fulcro del loro strapotere, il risiko degli accordi che l’ex magistrato Luca Palamara ha raccontato nel suo libro Il Sistema. Insomma al Csm, i togati vogliono aprire una pratica per essere tutelati, non si sa bene da cosa, dopo le dichiarazioni del Guardasigilli a Montecitorio, rilasciate in occasione della sua relazione sullo stato della giustizia. Per l’organo di autotutela della magistratura, le parole di Nordio avrebbero compromesso “il prestigio dell’indipendente esercizio della giurisdizione”, creando “un turbamento della credibilità della funzione giudiziaria”. A parte il fatto che a turbare la credibilità delle toghe, come dimostrano i sondaggi sulla percezione nei cittadini, sarebbe proprio l’uso politico della giustizia e la presa di posizione strumentale contro una riforma che dovrebbe garantire maggiore tutela ai cittadini che finiscono nell’inferno giudiziario e ad arginare i numerosi casi di malagiustizia per cui lo Stato paga fior fior di risarcimenti. Ma le parole di Nordio non sono certamente un attacco alla giurisdizione, bensì un dato di fatto. Parlando della separazione delle carriere e dell’attività del pubblico ministero, il ministro aveva riferito di “clonazioni” di fascicoli, di indagini “occulte ed eterne”, di “disastri finanziari”, descrivendo tali condotte “come prassi diffuse e condivise dalle procure della Repubblica”, rilevano i togati del Csm, firmatari della richiesta. Contro i quali si è scagliato il laico Enrico Aimi, eletto in quota Forza Italia. “Il Csm non è la terza Camera”, ha tuonato, per ribadire che le leggi le fa il Parlamento. Uno dei tre poteri dello Stato, che dovrebbe avere la stessa indipendenza che chiede la magistratura. Eppure pare che ormai le toghe, anziché applicarle, le leggi vogliano proprio farle.
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