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PRIMA PAGINA – Fast Fashion, la moda che costa poco sul banco degli imputati

di Lorenza Sebastiani -


Sui social si accapigliano e sembrano non trovare un accordo nemmeno per idea: sono le amanti del fast fashion contro quelle che lo odiano e lo contrastano. Comprarsi magliette per dieci euro è qualcosa che di questi tempi fanno in tanti, eppure c’è chi è contrario a questo, reputando i colossi di abbigliamento a basso prezzo dannosi per sfruttamento di manodopera e ambiente.
Va detto che, per qualcuno, in questo periodo storico comprare abbigliamento a basso prezzo è l’unico modo per non uscire di casa completamente nudi. A chi non piacerebbe avere sempre capi di qualità addosso? Se dobbiamo pure metterci a criticare chi non se li può permettere, accusandoli di scarsa sensibilità etica, il mondo diventa un posto veramente complicato.
Ma andiamo con ordine. Il fenomeno del Fast Fashion è una lama a doppio taglio nel mondo della moda. Si riferisce a un modello di business nel settore dell’abbigliamento che punta a produrre e vendere capi di moda a prezzi accessibili e in tempi molto rapidi. Marchi come Zara, H&M, e Shein sono diventati sinonimo di questa filosofia, offrendo alle masse la possibilità di indossare le ultime tendenze senza spendere una fortuna. Tutto ciò ha trasformato radicalmente l’industria della moda, ma non senza suscitare controversie e critiche significative.

Partiamo con i pro. Uno dei principali vantaggi del fast fashion è la democratizzazione della moda. In passato, le tendenze di moda erano spesso riservate a chi aveva mezzi e risorse. Il fast fashion ha abbattuto queste barriere, rendendo le ultime novità accessibili a un pubblico molto più ampio. Certo, la qualità di certi abiti da dieci euro lascia a desiderare, ma da lontano non cambia granché. Questo ha permesso a molte persone di esprimere la propria personalità attraverso l’abbigliamento, seguendo le tendenze del momento, soprattutto i giovanissimi, senza dover spendere (o far spendere ai genitori) cifre esorbitanti.
La velocità di produzione e distribuzione è un altro punto di forza del fast fashion. Le aziende sono in grado di passare rapidamente dal design alla vendita al dettaglio, spesso in poche settimane. Questo significa che i consumatori possono trovare nei negozi le ultime tendenze quasi immediatamente dopo averle viste sulle passerelle o sui social media. Inoltre, la vasta gamma di prodotti offerti dai marchi “fast” consente ai consumatori di avere un’ampia scelta, rispondendo rapidamente alle loro esigenze e desideri.
Nonostante i suoi vantaggi, questa macchina ha numerosi lati oscuri che non possono essere ignorati. Uno dei problemi più gravi è lo sfruttamento della manodopera, spesso in paesi in via di sviluppo. Molti dei capi prodotti da marchi di fast fashion sono realizzati in fabbriche dove i lavoratori ricevono salari estremamente bassi e sono costretti a lavorare in condizioni precarie.

Ci sono stati numerosi casi documentati di sfruttamento del lavoro minorile, una pratica inaccettabile che viola i diritti umani fondamentali. Ad esempio, la tragedia del Rana Plaza in Bangladesh nel 2013, dove il crollo di un edificio che ospitava diverse fabbriche tessili ha causato la morte di oltre 1.100 lavoratori, ha messo in luce le condizioni disumane in cui operano molti operai. Questo incidente ha sollevato domande cruciali sulla responsabilità delle aziende occidentali nella supervisione delle loro catene di approvvigionamento globali. L’impatto ambientale del fast fashion è innegabilmente preoccupante. La produzione di abbigliamento in massa genera enormi quantità di rifiuti e inquinamento. I tessuti sintetici, spesso utilizzati per ridurre i costi, non sono biodegradabili e contribuiscono all’inquinamento degli oceani e delle discariche. Inoltre, la rapidità con cui vengono prodotte e vendute le collezioni di fast fashion incoraggia un ciclo di consumo e scarto continuo, aumentando ulteriormente i rifiuti tessili. Un esempio tangibile di questo problema è la “montagna di vestiti” nel deserto di Atacama in Cile, dove migliaia di tonnellate di abiti usati finiscono ogni anno.

Questo accumulo di rifiuti tessili non solo rovina l’ambiente locale, ma evidenzia anche la crisi globale della mole globale di rifiuti generati dal fast fashion. La qualità dei capi è un altro aspetto critico. I capi che costano poco spesso si usurano rapidamente e devono essere sostituiti frequentemente, alimentando il ciclo di consumo e aumentando la quantità di rifiuti prodotta dall’industria. Insomma, il fast fashion rappresenta una delle sfide più complesse e controverse del settore della moda contemporanea. Da un lato, ha democratizzato l’accesso alle ultime tendenze, permettendo a molte persone di esprimere la propria individualità attraverso l’abbigliamento. Dall’altro, ha generato gravi problemi etici e ambientali che non possono essere trascurati.
Per affrontare questi problemi, è essenziale che consumatori e aziende lavorino insieme verso soluzioni più sostenibili. I consumatori (quelli ricchi, diciamolo) possono fare scelte più consapevoli, optando per capi di maggiore qualità e durata, e supportando marchi che adottano pratiche etiche e sostenibili. Le aziende, a loro volta, dovrebbero assumersi la responsabilità delle loro catene di approvvigionamento, garantendo salari equi e condizioni di lavoro dignitose per i lavoratori, e investendo in materiali e processi produttivi meno impattanti sull’ambiente.
Che dite, ce la facciamo o è meglio lasciar perdere?


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