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PRIMA PAGINA – Bossetti, Rosa e Olindo: la fiction li vuole innocenti, per i giudici restano colpevoli

di Marina Cismondi -


Massimo Bossetti, Olindo e Rosa: la fiction li vuole innocenti, ma per i giudici restano colpevoli

Si sono riaccesi negli ultimi mesi i riflettori sui due casi giudiziari più vivisezionati da libri, trasmissioni e fiction televisive: l’omicidio di Yara Gambirasio e la strage di Erba. Due sentenze ormai definitive, ma per entrambe la domanda è: Massimo Bossetti, Olindo e Rosa sono stati condannati all’ergastolo “al di là di ogni ragionevole dubbio “? La risposta divide l’opinione pubblica, ma si sta ampliando lo schieramento di chi ha seri dubbi su come siano state condotte le indagini ed i dibattimenti nelle aule dei tribunali, grazie anche alla recente serie Netflix su Yara ed alle molteplici inchieste televisive.


Analizziamo sinteticamente le due vicende, partendo dalla povera Yara. Il 26 novembre 2010 la tredicenne scomparve dal centro sportivo del suo paese, Brembate di Sopra. Sul suo corpo, ritrovato in un campo ad una decina di chilometri da Brembate, vennero rilevate ferite da arma contundente e da taglio, che le procurarono una lenta agonia. Secondo l’accusa, Yara morì in quel campo il giorno stesso della scomparsa. Il 16 giugno 2014 venne arrestato Massimo Giuseppe Bossetti, muratore incensurato, il cui DNA Nucleare risultava sovrapponibile con quello definito “Ignoto 1”, rilevato sul un lembo degli slip di Yara. A lui si arrivò prelevando campioni di DNA a tappeto, riuscendo a risalire prima al padre naturale e poi alla madre di Bossetti.

La corrispondenza del solo DNA Nucleare, resterà l’unica prova a carico di Bossetti, che, dopo tre gradi di giudizio, nel 2018, venne condannato all’ergastolo. Il Pubblico Ministero, Letizia Ruggeri, ritenne ininfluente che Bossetti non avesse alcun movente e non conoscesse Yara; che subito dopo la scomparsa tre cani molecolari si dirigessero verso un cantiere della zona; che testimoni, partecipanti alle ricerche della ragazza, dichiarassero che il corpo non era in quel campo già da fine novembre; che i vestiti ed il cadavere presentassero dei deterioramenti non compatibili con mesi di esposizione alle intemperie; che sul giubbotto di Yara fosse stato repertato dai RIS, oltre ad altri diversi DNA di ignoti, il DNA della sua maestra di ginnastica.

Venne data invece molta enfasi mediatica ad un filmato di un furgone simile a quello di Bossetti che girava intorno alla palestra, video montato ad hoc dai Carabinieri, ed alle presunte ricerche web “pedo pornografiche” del muratore, poi smentite in tribunale dal carabiniere che analizzò il suo computer.
Bisognava creare il “mostro predatore depravato” da dare in pasto all’opinione pubblica?
L’ultimo sviluppo sconcertante della vicenda è di questi giorni .
Gli avvocati di Bossetti, certi della sua innocenza, chiesero, già dal primo grado di giudizio, di poter rianalizzare il DNA attribuito al loro assistito. Permesso sempre negato, motivando che non ci fossero campioni sufficienti per nuove analisi. Ma un’indagine giornalistica rivelò la presenza di ben 54 provette contenenti il DNA, conservate a -80° al San Raffaele di Milano e il 29 novembre 2019 gli avvocati furono autorizzati all’esame dei campioni. Ma, a distanza di soli tre giorni, il PM Ruggeri ordinò lo spostamento dei campioni all’Ufficio Reperti del Tribunale, a temperatura ambiente, di fatto distruggendoli.
La denuncia presentata dai legali di Bossetti verso la Ruggeri, indagata dal GIP di Venezia per frode processuale o depistaggio, venne archiviata lo scorso settembre, anche se un preciso articolo del Codice Penale specifica che i reperti debbano essere conservati fino a quando un giudice – e non un PM – non ne disponga la distruzione. “Cane non mangia cane” è stato l’amaro commento dell’avvocato di Bossetti sul canale Youtube di Andrea Lombardi.

Da Bossetti a Olindo e Rosa: tra sentenze e fiction

E passiamo alla strage di Erba. Secondo la sentenza definitiva di condanna all’ergastolo del 2011, Olindo Romano e Rosa Bazzi uccisero a coltellate e sprangate la vicina di casa Raffaella Castagna, suo figlio Youssef di due anni, sua madre Paola Galli e un’altra vicina, Valeria Cherubini, il cui marito, Mario Frigerio, ferito alla gola, sopravvisse e divenne l’unico testimone. Le sentenze narrano che un netturbino e sua moglie analfabeta, a causa di liti di condominio, si trasformarono in due spietati ed astutissimi killer, in grado di non lasciare alcuna traccia sul luogo dei delitti e di non far trovare una sola gocciolina di sangue a casa loro, dopo aver compiuto una mattanza. Gli atti processuali raccontano che Frigerio disse, ben prima di incolpare Olindo, che il suo aggressore era uno straniero di carnagione olivastra; che la Cherubini, massacrata da 34 coltellate e con la lingua tagliata, fu in grado di salire le scale e gridare “Aiuto”e che Olindo e Rosa confessarono (poi ritrattando) ricostruzioni totalmente non rispondenti ai fatti.
Dell’unica prova a carico dei coniugi, la macchia di sangue della Cherubini evidenziata con il luminol nell’auto di Olindo, non esiste alcuna immagine fotografica. I difensori di Olindo e Rosa presentarono più richieste di revisione del processo, appoggiati nel 2023 anche da Cuno Tarfusser. sostituto procuratore generale di Milano. Solo nel gennaio di quest’anno l’istanza di revisione venne finalmente ammessa al dibattimento, ma il 10 luglio la Corte d’Appello negò un nuovo processo. Restano numerosi “ragionevoli dubbi”. E tre ergastoli, forse a tre innocenti.


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