Povera, poverissima Italia. La ricchezza diminuisce, l’inflazione mangia i risparmi e le famiglie non sanno più dove sbattere la testa. La retorica sbandierata in tv sbatte la testa contro i numeri. E, come è fin troppo noto, le cifre e i dati la testa ce l’hanno più dura di ogni ideologismo ottimista. Se una rondine fa primavera, tanti -troppi – segnali testimoniano che per l’Italia è arrivato l’inverno. Innanzitutto il report sulla ricchezza, firmato da Istat e Bankitalia, testimonia che la ricchezza delle famiglie italiane, in un solo anno dal 2021 al 2022, ha perduto, in termini reali, qualcosa come il 12,5% del suo valore.
È una catastrofe. È la “decima” (anzi, molto di più) che le famiglie hanno pagato alla crisi, anzi alla pandemia prima e alle conseguenze della guerra tra Russia e Ucraina poi. Mai l’Italia era stata così povera da quando Palazzo Koch e gli analisti dell’istituto nazionale di statistica hanno cominciato a vagliare e sorvegliare i livelli di ricchezza del Paese. Quella netta è precipitata, in rapporto al reddito disponibile, da 8,7 a 8,1 punti. I numeri non mentono: nel 2022 la ricchezza delle famiglie italiane, sia in riferimento alle attività non finanziarie che finanziarie, cioè tra immobili e investimenti in banca, al netto delle passività (eventuali prestiti e mutui) arriva a 10.421 miliardi di euro.
Rispetto all’anno precedente si è segnata una decrescita, in termini letterali, pari all’1,7%. Peccato, però, che nel frattempo sia esplosa la crisi energetica e si sia innescata la parabola infernale di carovita e inflazione. Che hanno azzannato la ricchezza degli italiani facendole perdere il 12,5% del loro valore reale. La media è, per ogni italiano, di 177mila euro. Vale qui, meglio di sempre, la satira del pollo di Trilussa in materia di statistiche.
Che le famiglie italiane siano in difficoltà lo ha ammesso anche Nomisma. “Veniamo da due anni e mezzo nei quali le famiglie italiane si sono sensibilmente impoverite, hanno dovuto attingere ai propri risparmi o fare ricorso al credito per pianificare acquisti particolarmente onerosi o imprevisti. Una ferita profonda, che avrà bisogno di tempo e stabilità per rimarginarsi”, ha spiegato il capoeconomista Lucio Poma. Che ha fatto emergere un’altra, pesante, aporia della situazione economica nazionale: “I salari si muovano molto più lentamente del tasso d’inflazione con l’anomala conseguenza che, nel corso di questi ultimi tre anni, sono cresciuti molto lentamente durante la fase di crescita inflattiva e più velocemente durante la discesa dell’inflazione.
Se nel primo trimestre del 2021 la crescita salariale (+0,7%) era in vantaggio su quella inflattiva (+0,5%), nel secondo trimestre iniziava una lenta erosione del potere d’acquisto (+0,6% i salari; +1,3% l’ inflazione)”. E non basta: “Con il passare dei trimestri l’erosione è diventata sempre più intensa allargando la forbice tra le due componenti, tanto che nel quarto trimestre del 2022 la distanza ha raggiunto il suo apice con la crescita salariale dell’1,5% e la crescita dell’inflazione dell’11,8%, solcando un differenziale di oltre dieci punti percentuali”.
Le analisi trovano riscontro nella realtà. Una di questa, devastante, arriva dal mercato immobiliare. “Nel primo semestre 2023 – riferisce l’Istat nel suo ultimo rapporto in materia di compravendite immobiliari – il mercato con 446.416 convenzioni notarili di compravendita, registra un andamento in ribasso rispetto allo stesso periodo del 2022 (-13,7%)”. Il combinato disposto tra due, devastanti, premesse: non ci sono più soldi e non c’è più una sola banca che sia così disposta a erogare prestiti. Insomma, dai tassi agli stipendi che restano al palo, gli italiani non hanno più di che risparmiare. Già, perché la casa è l’investimento principe delle famiglie mica la speculazione di pochi fondi sovrani.
La flessione, spiegano dall’Istat, “interessa il settore abitativo (-14,4%), con variazioni negative superiori alla media nazionale nel Nord-ovest (-19,3%) e al Centro (-17,0%); più lieve il calo nel Nord-est -11,1%, Sud -10,2% e Isole -5,2%”. Ma non basta: “Il settore economico è stabile a livello nazionale mentre registra un andamento differenziato per area geografica: segna una crescita al Sud (+5,2%) e nel Nord-est (+4,6%) e una contrazione al Centro (-4,2%), nel Nord-ovest (-3,1%) e nelle Isole (-1,8%)”.
Sprofondo rosso per i mutui: “Le convenzioni notarili per mutui, finanziamenti e altre obbligazioni con costituzione di ipoteca immobiliare (152.094 nel I semestre 2023) sono in forte calo (-33,3%).
La diminuzione interessa soprattutto il Nord-ovest (-38,7%) e il Centro (-35,1%); più contenuta nel Sud -29,2%, Nord-est -28,1% e Isole -26,6%”. Siamo oltre il credit crunch. Le percentuali sono al limite dell’inedito. E se le cose continueranno così non sarà che l’inizio. Le banche, che festeggiano utili record senza fare un tasso (difatti ci ha pensato la Bce), hanno lasciato le famiglie in attesa di tempi migliori. Con tutte le conseguenze del caso. Intanto nuovi rincari attendono all’orizzonte i cittadini. Dalla telefonia fino all’assicurazione auto, si prospetta un 2024 ancora più duro. E più povero.