Intervista a Renata Polverini: “Le condizioni delle carceri violano la Costituzione”
Una ritrovata attenzione al mondo carcerario, su cui grava una moltitudine di problemi, ma anche un rinnovato impegno per incidere nel dibattito politico e stimolare una risposta proprio a queste criticità. È questo l’obiettivo di Uniti nel Fare, associazione presieduta da Renata Polverini con la quale abbiamo parlato di quelli che sono i punti deboli di un sistema penitenziario sul quale c’è tanto da lavorare.
Partiamo dal sovraffollamento carcerario. Possibile che un problema ben noto e che si trascina da così tanto tempo sia ancora ben lontano dall’essere risolto?
“I dati sul sovraffollamento carcerario italiano sono indegni di un Paese civile: 62.000 detenuti a fronte di una capienza massima di 46.910, il 132% in più del consentito per una detenzione dignitosa e legale. E questi numeri potrebbero triplicare se non ci fossero le persone che scontano la pena con misure alternative o di comunità e i cosiddetti “liberi sospesi” che attendono la decisione dei magistrati sull’ammissione ai percorsi alternativi al carcere. I diversi governi che si sono succeduti annunciano di volta in volta interventi di edilizia carceraria se non l’uso, più volte proposto, delle caserme dismesse; adesso qualcuno avanza pure la costruzione di moduli prefabbricati – modello CPR albanese – per far fronte ad una emergenza che è tale perché non si ha il coraggio di commutare in pene amministrative alcuni reati e, addirittura con recenti decreti si sono introdotte di nuove fattispecie di reati penali”.
Spesso si dice che per lo stato in cui versano le carceri, oltre che la libertà, la detenzione priva anche della dignità… Siamo ben lontani dal principio della funzione rieducativa e riabilitativa della pena.
“Le attuali condizioni delle carceri italiane contrastano apertamente con quanto prevede la Costituzione (art. 27) quando afferma che ‘le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato’. Nel nostro recente convegno che lei citava in premessa, sono state portate testimonianze ed esempi di come la detenzione avvenga in condizioni che umiliano le persone che ora, con il nuovo decreto sulla sicurezza, non possono nemmeno più protestare in modo “passivo” per non incorrere in nuovi reati… Quanto al valore della ‘rieducazione’ un dato su tutti dimostra la lungimiranza della nostra Carta: l’inserimento professionale abbatte la recidiva dal 62% al 2%!! Eppure, sono pochissime le carceri dove questi percorsi di reinserimento sono possibili e sono concentrate soprattutto al nord”.
Addirittura, anche il diritto alla salute di chi è recluso non sempre viene garantito. Come è possibile?
“La sanità in carcere è un ulteriore punto dolente; le difficoltà che incontrano tutti gli italiani che hanno necessità di una prestazione dal SSN in carcere sono moltiplicate per cento; sottolineo la responsabilità delle Regioni in questo campo visto che hanno la responsabilità di garantire una assistenza che evidentemente langue o è clamorosamente carente. Soprattutto le donne pagano un prezzo alto giacché per le, detenute è pressoché impossibile fare qualsiasi attività di prevenzione. Quando ho avuto la responsabilità della salute nel Lazio ho speso tempo e risorse per garantire la salute ai detenuti facendo anche in modo che di loro si occupassero i primari dei più importanti ospedali della Capitale e che i macchinari diagnostici fossero all’interno del carcere”.
Non è un paradosso che lo Stato punisca l’illegalità senza riuscire a garantire il rispetto delle regole che si è dato per farlo?
“Lo Stato sull’universo carcerario si è girato dall’altra parte da molto tempo; il Parlamento è stato più volte sollecitato dai Presidente della Repubblica – importante fu l’intervento di Giorgio Napolitano – e persino dal Papa: ricordo ancora Giovanni Paolo II in un vibrante intervento che, purtroppo, non riuscì a scuotere le coscienze del legislatore. Tutto questo ha un enorme ‘costo’ in termini di credibilità dello Stato e delle Istituzioni oltreché un ‘costo’ economico: pensate che nel periodo 2018/2024 lo Stato ha pagato 220 milioni di risarcimenti per ingiusta detenzione, 78 dei quali soltanto in Calabria”.
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