Pollard: “I familiari degli ostaggi andavano messi in carcere”. La spia israeliana che visse due volte attacca l’accordo con Hamas
Nella tregua partita in ritardo tra Israele e Hamas e nel dibattito politico interno ad Israele interviene l’ex spia israeliana Jonathan Pollard affermando che “Israele avrebbe dovuto mettere a tacere le famiglie degli ostaggi catturati da Hamas nella Striscia di Gaza”. Anzi, avrebbe dovuto “imprigionarne alcuni, per evitare pressioni pubbliche sul raggiungimento di un’intesa con il gruppo terroristico”.
Channel 14, riferisce The Times of Israle, ha trasmesso un video di Pollard con queste opinioni, riferendo di averle espresse pure durante un collegamento online avvenuto in questi giorni con il rabbino David Bar-Hayim dello Shilo Institute.
“Quando abbiamo dichiarato guerra – ha detto Pollard – , la prima cosa che il governo avrebbe dovuto fare era dichiarare lo stato di emergenza nazionale e dire a tutte le famiglie in ostaggio: Tenete la bocca chiusa, o ve la chiuderemo noi. Non interferirai nella gestione di questa guerra. Non verrai usato dalla comunità internazionale o dalla nostra stessa sinistra, che ha gestito l’accordo Shalit, come un’arma contro di noi”.
Pollard faceva riferimento all’accordo stretto nel 2011, all’epoca e da allora osteggiato da molti esponenti della destra israeliana, grazie al quale lo Stato di Israele aveva rilasciato oltre mille palestinesi detenuti con l’accusa di terrorismo in cambio di un singolo soldato delle forze di difesa nazionali.
Lo stato di guerra – questo il ragionamento di Pollard – esige anche di “imprigionare e mettere a tacere alcuni membri delle famiglie degli ostaggi”.
Parole che fanno rumore, in un Paese attraversato per giorni da una marcia cui hanno partecipato decine di migliaia di persone e da manifestazioni quotidiane che facevano pressione su Benjamin Netanyahu e che ora si misura con l’avvio di una tregua che, da altre parti si afferma, la stessa Hamas potrebbe interrompere in ogni momento mettendo in grandi difficoltà interne il premier israeliano.
Pollard,sulla questione, è dell’opinione che Israele debba condurre una guerra ad oltranza contro le milizie palestinesi, anche a costo della vita degli ostaggi israeliani catturati.
Parole di fuoco che vengono da quella, oggi 69enne, che è stata definita “la spia che visse due volte”: la sua storia è stata richiamata anche in film e opere teatrali, per anni è stato il simbolo della lotta globale tra intelligence, al centro di una campagna internazionale per la sua liberazione. Cittadino statunitense di origine ebraica ed ex analista dei servizi di intelligence della Marina Militare, Pollard era stato arrestato il 21 novembre 1985 e condannato all’ergastolo per spionaggio a favore del Mossad. Dopo 30 anni, la libertà condizionale. Dopo altri 5 anni la sua completa liberazione. Un mese dopo, con il favore di Donald Trump, l’arrivo in Israele ove fu proprio Netanyahu a consegnargli i documenti di cittadinanza israeliana.
Ora, da Pollard, un sasso nello stagno della tregua. Ha persino affermato, per ribadire la su estrema posizione sulla guerra, che non voterà più per il partito di estrema destra Sionismo religioso, oggi favorevole all’accordo con Hamas per lo scambio di ostaggi e prigionieri.
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