Economia

Pnrr, Meloni gioca la carta delle aziende di Stato

di Giovanni Vasso -

Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, con Claudio Descalzi


Pnrr, Meloni a tutto gas. Il governo incassa dalla Commissione Ue il via libera alla terza e alla quarta rata e, intanto, schiera sul terreno le migliori risorse sulle quali ritiene di poter contare per attuare il piano. La strategia è cambiata. E dai Comuni, inizialmente individuati quali l’architrave della strategia Pnrr, il pallino del gioco passa alle grandi aziende partecipate di Stato. A cui, peraltro, nei mesi scorsi, per la precisione a febbraio scorso, Meloni, già dell’idea di rimodulare Pnrr con il Repower Eu, aveva già chiesto di presentare pochi progetti ma necessari, ambiziosi e, soprattutto, fattibili.
La grande novità di queste ore sembra proprio il cambio di passo, la scelta di mettere in panchina gli enti locali per fare strada ai colossi statali come Eni, Enel, Terna e Snam. La chiave di lettura proposta dagli analisti dell’agenzia Dbrs è interessante e sembra cogliere nel segno. Alle aziende di Stato passerà, per il tramite di Repower Eu, una quota sempre più importante di fondi europei da gestire e coi quali finanziare progetti utili a rimodernare l’Italia e le sue infrastrutture. A cominciare, ovviamente, da quelle energetiche. La speranza di Giorgia Meloni sta anche nella necessità di dover recuperare terreno, di dover rientrare di tanti, troppi, ritardi che nel frattempo sono stati accumulati dal Piano. La Pubblica amministrazione, falcidiata dai pensionamenti, “tappata” dal turn-over, poco appetibile per le figure d’alta professionalizzazione e poco generosa con i giovani talenti italiani, non ha dato una prova memorabile di sé. Ora tocca ai manager di Stato. Che si giocano una partita importantissima. Perché, attorno al Pnrr e alle politiche energetiche, il governo si gioca tutto. E lo fa attorno a due parole: Piano Mattei. Non è un mistero che Meloni, fin dall’inizio, abbia puntato forte sulle partecipate per attuare e rendere concrete le sue azioni politiche. È stato proprio per questo se Meloni s’è sbilanciata in maniera tanto “ingombrante” sulle nomine sfiorando, in diverse occasioni, lo scontro diplomatico coi suoi stessi alleati di governo. Ora che le caselle sono tutte al loro posto (o quasi, ma questa è un’altra storia), la presidente può affidare alle partecipate una quota sempre crescente del Piano. Tra i protagonisti assoluti di questa stagione del Pnrr ci sarà, sicuramente, Claudio Descalzi (nella foto). L’amministratore delegato di Eni ha continuato a rivestire lo stesso ruolo chiave tenuto durante l’ultima fase del governo Draghi, in piena emergenza energetica. Solo che, con Meloni, ha qualcosa in più rispetto a ciò che poteva offrirgli l’ex governatore Bce. La premier ha vinto le elezioni, fa politica e si prende tutta la visibilità, nel bene e nel male. Consentendo ai manager di lavorare al riparo di taccuini e telecamere. Sarà decisivo, inoltre, il ruolo di Terna (ad Giuseppina Di Foggia, fortemente voluta proprio da Meloni) a cui sarà affidato un miliardo per aggiornare le infrastrutture elettriche. E, ancora più importante, saranno le mosse di Enel a cui andranno 3,5 miliardi di euro per il potenziamento delle reti in bassa e media tensione. Cifre che, se confrontate con il totale (191,5 miliardi) sembrano minuscole. Stando a Dbrs, Palazzo Chigi potrebbe potenziare la dotazione economica a beneficio delle partecipate a cui andrebbero sei miliardi dal Repower Eu, altri tre miliardi di fondi nazionali e una quota non ancora definibile derivante proprio dal Pnrr.
Ma tutto questo, Meloni, lo aveva già detto e promesso. In quell’incontro a febbraio, in cabina di regia, la premier aveva affermato che il Pnrr “consentirà all’Italia di dare un forte contributo alla realizzazione del piano Mattei” e questo al fine di “consolidare la diversificazione delle forniture verso una totale eliminazione del gas russo e per far diventare l’Italia hub energetico del Mediterraneo per tutta l’Europa”, tutto ciò, chiaramente “in un proficuo rapporto di cooperazione soprattutto con i Paesi africani”.
Una strategia che si scrive da sola: Eni e Snam allacciano tubi e rapporti, Terna ed Enel cuciono strategie e ponti energetici dentro e fuori l’Italia. Senza dimenticare il green e le rinnovabili. Ma se l’ultimo atto dell’ex ad Enel Francesco Starace è stato quello di inaugurare la “fabbrica del Sole” che dalla Sicilia promette di dare filo da torcere ai colossi cinesi del fotovoltaico, il governo ha contestualmente limitato (e definanziato insieme ai Comuni) una parte degli investimenti nell’idrogeno e nelle tecnologie a questo collegate. L’idrogeno, però, rappresenta un capitolo importante per le acciaierie e per il loro futuro, a cominciare dall’Ilva. Se sarà stata una scelta definitiva o solo uno stop-and-go potrà dirlo soltanto il tempo. E di tempo, l’Italia, adesso ne ha poco.


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