Economia

Che Pil che fa: schiarita sull’Europa, bene l’Italia

di Giovanni Vasso -


Timide schiarite del Pil, per l’Europa dell’economia, all’epoca dell’estate più torrida. Il sole della crescita non splende come dovrebbe ma qualche segnale positivo, incoraggiante, c’è. Tranne che per i Paesi frugali. Su cui si addensano nubi nerissime. Innanzitutto il quadro generale. Secondo Eurostat, nel secondo trimestre di quest’anno, il Pil dell’area euro è cresciuto dello 0,3% rispetto a quello precedente. Un trend di crescita che si fa più importante se il confronto è col dato dello stesso periodo dell’anno passato: +0,6%. Un raggio di sole, per gli analisti europei, secondo cui i dati risulterebbero leggermente migliori rispetto alle attese. Se l’esame si estende a tutta l’area Ue, la crescita sul trimestre rimane tale ma sale, leggerissimamente, quella sull’anno attestandosi allo 0,7%.

Questo, dunque, lo scenario. Poi ci sono le performance dei singoli Paesi. L’Italia, come ha riferito questa mattina l’Istat, ha messo a segno la quarta crescita consecutiva. Il dato del secondo trimestre racconta di una crescita stimata nello 0,2% rispetto al periodo precedente e, in termini tendenziali, pari allo 0,9%. Al momento, la variazione acquisita per il 2024  è pari a +0,7%. Le stime restano provvisorie e tengono conto dei ribassi registrati nell’agricoltura e nell’industria, contemperati dalla crescita del terziario (leggi turismo). Poco, maledetto e subito. E il ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti, che prepara una manovra da 25 miliardi con l’obiettivo di alleggerire il carico fiscale al ceto medio senza toccare il cuneo fiscale, può contare su una notizia positiva. Non così, invece, il “collega” tedesco alle Finanze, Christian Lindner. Il Pil della Germania, nel secondo trimestre di quest’anno, scende di un decimo di punto: -0,1%. La testimonianza di quanto sia profonda la crisi che affligge la (ex?) locomotiva d’Europa. Per gli esperti di Destatis s’è trattato di una delusione: non ci si attendeva chissà che crescita ma, quantomeno, che comparisse il segno più davanti al decimale del Pil. Cosa che non è accaduta e rimette in discussione la tenuta dell’economia più forte del Vecchio Continente.

Se Berlino piange, Parigi una volta tanto ride. La Francia vede crescere il suo prodotto interno lordo dello 0,3%. Meglio delle attese della vigilia, “ferme” al +0,2%. A trainare il Pil francese è stata la ripresa del commercio estero (con l’export a +0,6%) e degli investimenti fissi mentre la spesa pubblica s’è dimezzata e le famiglie hanno lasciato inalterati i loro livelli di consumo. Ma chi davvero può festeggiare è la Spagna. Madrid non s’aspettava una crescita del suo Pil pari al +0,8%. I più ottimisti degli osservatori non credeva che la crescita andasse oltre il mezzo punto percentuale. Crescono i consumi delle famiglie e, soprattutto, si rimette in ordine la bilancia commerciale con le esportazioni che salgono dell’1,2% e l’import che scende dello 0,2%.

Non ha niente da festeggiare, invece, il governo di Vienna. L’economia dell’Austria registra una variazione piatta del Pil dopo aver messo a referto una crescita dello 0,2% nel primo trimestre. È accaduto (anche) perché le famiglie austriche hanno moderato i consumi (-0,5%) e la ripresa della spesa pubblica non è riuscita a colmare il gap. Sostanziale “pareggio” per il Belgio. Ci si aspettava una crescita dello 0,3%, l’aumento del Pil non è andato oltre lo 0,2%. È il segnale più debole di crescita dall’ormai lontano ultimo trimestre del 2022. Sconta, Bruxelles, il calo della produzione e degli affari della sua industria: -0,3%.

Insomma, lo scenario è tracciato. In Europa la crescita c’è ma, come si direbbe di quei ragazzi che a scuola sono sempre distratti, “non si applica”. O meglio, potrebbe essere anche maggiore ma ciò, almeno per il momento, non avviene. Succede (anche) grazie a una politica monetaria rigida che sta punendo proprio quei Paesi frugali che ne sono i più accesi fautori. Eppure, all’orizzonte, si intravede qualche speranza. Dagli Stati Uniti sta spirando il vento della “normalizzazione” dei tassi. La Fed, infatti, sarebbe pronta a mettere mano ai tagli già a settembre. Non può essere altrimenti: la banca centrale Usa, a luglio, ha lasciato tutto inalterato mentre il Paese vive una fase elettorale estremamente divisiva. Una mossa da parte di Powell e soci potrebbe convincere la Bce a mollare la presa e ad aprire all’ipotesi di altri tagli, dopo quello micro di giugno, alla fine dell’estate.


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