Pietro Gonnella, il buffone che “morì dal ridere”
di MICHELE ENRICO MONTESANO
Uno dei buffoni più famosi è senza dubbio Pietro Gonnella o Gonella. Giullare presso la corte degli Este nel XV secolo. Tra gli innumerevoli scherzi, uno su tutti – l’ultimo – gli costò la vita.
Niccolò III si ammalò di febbre quartana nel 1441 e cadde in uno stato di perenne malinconia e con lui tutta la corte: “Era per questo tutta la corte malenconosa, perché, trovandosi il signore infermo e che di nulla si trastullava, tutti erano di malissima voglia”. Una situazione che al buffone Pietro, incaricato di distrarre il marchese Niccolò, non piaceva affatto. Gonnella che “sommamente amava il suo signore” accettò di accompagnarlo, su indicazione dei medici, alla Delizia di Belriguardo, la reggia estiva degli estensi. Il palazzo edificato proprio per volere del marchese, immerso nella campagna e vicino al Po avrebbe dovuto allietarlo ma così non fu. Allora il buffone escogitò uno scherzo per far guarire dalla febbre il suo signore: “aveva il Gonnella udito dire, che una paura grandissima fatta a l’improviso a l’infermo gli era presentaneo rimedio e molto profittevole a cacciare via la quartana.”
Messosi d’accordo con un mugnaio, durante una gita lungo il Po “il Gonnella, che solo col marchese era, vedutolo fermare su la riva, li diede una gran spinta e il fece tombare in Po e subito se ne fuggì, (…) e di lungo se n’andò a Padoa al signor di Carrara, che era suocero del marchese.” Il mugnaio ripescò il marchese Niccolò III dal Po, completamente guarito dalla quartana. Gonnella però si era macchiato del crimine di lesa maestà e fu emessa una sentenza nei suoi confronti che se avesse rimesso piede su suolo Ferrarese gli avrebbero tagliato la testa. Il buffone allora si presentò a Ferrera su una carretta con dentro della terra e una scritta “terra del signore di Padova” e chiese, secondo il diritto, formali garanzie che non gli sarebbe stato fatto del male. A questo punto occorre fare una precisazione sul tipo di rapporto tra Gonnella e Niccolò. Ancora una volta ce lo descrive con precisa tenerezza il Bandello, che nella quarta parte de Le Novelle scrive che il Gonnella “dimorò con le sue piacevolezze e berte che faceva, acquisto l’amore di ciascuno, di maniera che il marchese cominciò non volgarmente ad amarlo e mostrare con molti segni che l’aveva carissimo. E dimesticandosi con esso lui familiarissimamente, in poco tempo crebbe tanto l’amore suo verso il Gonella che pareva che senza quello vivere non potesse”. Ripete la parola Amore quattro volte. Pietro e Niccolò erano due “compari”. Gonnella fu tirato giù dalla carretta senza complimenti e rinchiuso in prigione in attesa di essere ghigliottinato. Ma era tutto uno scherzo di Niccolò. Infatti “aveva il marchese segretissimamente ordinato che al Gonnella, quando fosse condotto a la giusticia, li fossero bendati gli occhi e che, posto il collo sovra il ceppo, il manegoldo, in vece di troncargli il capo, li riversasse uno secchio di acqua su la testa”. Quando fu condotto alla ghigliottina, tutta Ferrara era accorsa. Fu bendato e prima di inginocchiarsi urlò al marchese perdono e disse che l’aveva spinto nel Po non per beffarlo ma per guarirlo, per Amore. A quel punto il boia gli versò la secchiata d’acqua. Talmente tanta era stata la paura che il cuore del povero Pietro Gonnella non resse. Non si rialzò più. “Avvenne di non aver a piangere più da burla, ma daddovvero” citando il Manni. Niccolò III d’Este non solo perse il suo giullare ma anche un amico. Distrutto per quanto accaduto, non si riprese più. Ci racconta Bandello che “non puoté consolazione alcuna ricevere già mai”.
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