Piero Pompili del “Cambio”: e ti scopro (P)Osti del cuore
Da anni ormai si celebrano gli chef come nuove rockstar, acclamati sui social, nei talk show e persino sulle copertine delle riviste patinate. Ma intanto, nei ristoranti reali, quelli con la porta d’ingresso che cigola e il tovagliolo di stoffa, mancano i camerieri, i sommelier e – soprattutto – gli osti. Una figura che pare demodé, eppure è essenziale: l’oste è l’anima della sala, il regista dell’atmosfera, il vero interprete dell’accoglienza.
Ed è per questo che il libro di Piero Pompili, uno degli osti più noti d’Italia, arriva come una boccata d’aria buona. “Nato Oste” – titolo che non ha bisogno di orpelli – è molto più di un’autobiografia: è una dichiarazione d’amore a una professione nobilissima, troppo spesso relegata a ruolo accessorio rispetto alla cucina.
Pompili, marchigiano di nascita e bolognese d’adozione, ha fatto dell’ospitalità una vocazione. Il suo ristorante, Il Cambio di Bologna, è da anni un rifugio elegante dove ogni gesto è misurato, ogni consiglio sincero, ogni piatto un pretesto per raccontare una storia. Ma in queste pagine, finalmente, a raccontarsi è lui: l’uomo prima del personaggio, la persona dietro la professione. (Sulla cucina de Il Cambio ci torno. Promesso. Ora lascio la scena a Piero). Perché Pompili è anche una star dei social. Ma mai sopra le righe, mai preda della vanità. I suoi post sono spesso riflessioni acute sul mestiere, ricordi teneri, appunti di vita vissuta. E il libro ne è la naturale estensione: con uno stile che coniuga lucidità e tenerezza, Piero rievoca la sua formazione, gli esordi negli hotel della riviera, i grandi incontri che gli hanno cambiato la vita – da Pia Passalacqua a Fulvio Pierangelini, da Bonilli a Vizzari. Ma soprattutto, racconta il lungo sodalizio con Arnaldo Laghi, compagno di lavoro e d’anima per un grande e intenso pezzo di vita.
La cifra di Pompili è la consapevolezza. Di ciò che è stato e di ciò che potrebbe (e dovrebbe) essere il mondo della ristorazione. Perché stare bene in un ristorante – e qui si tocca il cuore del discorso – non è solo una questione di cibo. È sentirsi accolti, capiti, guidati. È avere un oste che sappia dosare parole e silenzi, presenza e discrezione, consiglio e ascolto. “Nato Oste” è, in fondo, un manuale sentimentale per chi vuole restituire dignità al mestiere dell’accoglienza. Un mestiere che richiede studio, intuizione, sensibilità. Che non si improvvisa, non si finge, non si insegna in un reel da venti secondi.
Con questo volume, Piero Pompili compie un’operazione necessaria: inchioda su carta un sapere che rischiava di evaporare, restituisce valore a un ruolo spesso ignorato, invita i giovani a considerare la sala non come un ripiego ma come una destinazione. Un libro che andrebbe letto nelle scuole alberghiere, nei consigli di classe, nei consigli comunali. Perché la bellezza, in Italia, passa anche da lì: da una tavola ben apparecchiata, da una parola gentile, da un oste che – con passo leggero e sorriso vero – sa rendere ogni pasto un’esperienza indimenticabile.
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