Attualità

I POTERI CORTI – Piccoli “malitaliani” ma grandi danni

di Marco Travaglini -


Mafia, corruzione, evasione, criminalità, malasanità, migranti e (mancata) inclusione, malaffare e P.A., emarginazione delle periferie. Quanti mali affliggono il bel Paese, fatto di storia, arte, natura e milioni di brave persone costrette a sopravvivere spesso in apnea sociale? Mi chiedo però se siano solo questi i “malitaliani”, quelli messi sotto i riflettori della cronaca, per far salire l’audience, ed osannati dalle serie tv: ma oltre ai boss, ai grandi evasori, ad alti funzionari corrotti, c’è la tanta gente comune che subisce spesso piccoli mali con conseguenze quasi più deleterie della criminalità. Mi riferisco a quei comportamenti e modi di porsi di un’Italia (delle troppe caste e rendite di posizione) che si dimostra indifferente alla sopraffazione sociale ed economica, mette sul piedistallo l’immagine ed i propri interessi, interessata al contenitore e non al contenuto, reticente alla diffusione di conoscenza e distante da quella società motivata e volenterosa, di cui mina l’entusiasmo, la voglia e la fiducia, soffocandola spesso in un profondo senso di disagio ed inadeguatezza.
Nello specifico dell’economia, anche quell’Italia “complice”, che favorisce il (non) fare impresa, nella quale si parla di smart working, senza aver mai organizzato neanche una partita a calcetto; si progettano business model senza essersi mai sporcati le mani; ci si atteggia da imprenditori, non avendo mai avuto un dipendente; si fa il compitino o si dà la colpa dell’insuccesso ai predecessori; nella quale si pensa – dai palazzi istituzionali, accademici e finanziari – che la tecnologia, i soldi e il sapere siano esclusive elitarie da non condividere. Questa complicità quotidiana è un grande ostacolo al miglioramento, dei meritevoli di quell’eccellenza che, da sempre, ci contraddistingue, ma soprattutto della classe borghese di un tempo, oggi sempre più debole a livello economico e sociale, disaggregata e non più collante, anche a causa di tali atteggiamenti egoistici, refrattari e frammentativi, in un momento di così elevato bipolarismo sociale.
Anche tali approcci sono causa di una scarsa produttività, sia economica che sociale? Possiamo immaginare che bassa natalità, disuguaglianze, precarietà ne sono parte dell’espressione diretta derivante? In questo quadro complesso, i soli modelli economici, tanto quelli industriali “a goccia”, quanto quelli “assistenziali”, siamo certi siano ancora validi? Passare ad un modello di “pazienza e rischio” (emotivo ed economico) capace di distribuire conoscenza e buone pratiche, in grado di combattere la reticenza e tutti i piccoli “malitaliani” indicati, potrebbe essere una possibilità. In questo caos, nuove figure socio-operative sul territorio, capaci di uscire fuori dagli schemi e con mandato di portare valore aggiunto in maniera pervasiva, meritocratica e democratica, coinvolgendo il maggior numero di persone nell’innovazione ed in una moderna cultura sociale, economica e organizzativa, potrebbe favorire il miglioramento della produttività e dei suoi indotti.


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