Ambiente

Pfas, ora è allarme: i veleni nell’acqua e i rischi per la salute, la prima indagine di Università Bologna e Padova

di Angelo Vitale -


Si chiamano Pfas. Sono sostanze perfluoroalchiliche, composti chimici ampiamente usati in un gran numero di prodotti e materiali per le loro capacità di resistenza e le proprietà ignifughe. Da tempo nel ciclone di inchieste giudiziarie e allarmi che, dopo lo scandalo che ha investito il Nord, nel triangolo Verona-Vicenza-Padova con 15 amministratori di Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation ancora a processo in Corte d’Assise a Vicenza innanzitutto per avvelenamento di acque, ha visto la denuncia tracimare, con Greenpeace, anche in Lombardia. Vicende che L’identità segue da tempo e che tuttora generano preoccupazione.

Ora, gli effetti negativi che la persistenza dei Pfas nell’ambiente produce sulla salute di animali e persone emergono con evidenza in un’analisi comparativa trascrizionale – pubblicata sulla rivista Toxics e realizzata da studiosi dell’Università di Bologna e dell’Università di Padova – che ne conferma il pericolo, rivelando come gli effetti dell’esposizione vengono conservati a livello molecolare sia in diversi tessuti che in diverse specie, producendo conseguenze sia nell’uomo che in altre specie animali, aumentando per esempio colesterolo e trigliceridi.

Lo spiega il coordinatore Federico Manuel Giorgi, dell’Università di Bologna: “Per la prima volta si rileva l’influenza su vie ormonali e vie metaboliche, l’aumento dei meccanismi di accumulo degli acidi grassi e l’indebolimento del sistema immunitario”.

Protagonisti da oltre 60 anni nell’industria e nel nostro quotidiano, i Pfas sono utilizzati in rivestimenti antiaderenti, schiumogeni antincendio, tessuti impermeabili, pesticidi, materiali per l’edilizia e prodotti per la pulizia e l’igiene personale. Per l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico vi rientrano 4.730 diverse molecole, la più estesa famiglia di inquinanti emergenti, perché permangono per anni nell’ambiente. E finiscono nei bacini idrici, percorrono grandi distanze ed entrano nell’ecosistema acquatico risalendo la catena alimentare fino agli esseri umani. Se ne trovano tracce nel latte materno, nella placenta, nel siero, nel liquido seminale e nei capelli.

Ora, la lente della ricerca si allarga al campo genetico e cellulare, offrendo – aggiunge Giorgi – una visione completa dei meccanismi molecolari alla base della loro tossicità, con dati solidi su cui basare le prossime scelte per la salvaguardia della salute pubblica e dell’ambiente”.

I Pfas fanno regredire il metabolismo e il trasporto dei lipidi nello sviluppo ovarico, nella produzione di estrogeni, nell’ovulazione e nel funzionamento del sistema riproduttivo femminile. Elementi che possono spiegare gli effetti dannosi sulla fertilità e sullo sviluppo fetale. Evidenziata pure una sovraregolazione del gene ID1 coinvolto nello sviluppo di leucemia, cancro al seno e al pancreas. Ove i dati epidemiologici suggeriscono che l’elevata esposizione possa aumentare la mortalità di individui già affetti da neoplasie maligne di milza, fegato e midollo osseo. Nel mirino dei Pfas anche il sistema immunitario, con l’indebolimento delle reazioni specie nei bambini esposti ai Pfas prima e dopo la nascita. Oltre che con lo sviluppo di malattie sistemiche, come il danno epatico e le malattie cardiovascolari, tra cui l’aterosclerosi e gli eventi tromboembolici.


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