Petrolio, ok Usa a Eni e Repsol per l’import dal Venezuela
Via libera di Biden per convincere Maduro a dialogare con l’opposizione
L’Eni e la spagnola Repsol SA potrebbero iniziare a spedire petrolio venezuelano in Europa, con la formula oil for debt (il valore recuperabile di crediti scaduti nei confronti della Compagnia di Stato PDVSA è per Eni pari a 538 milioni), già dal prossimo mese per compensare il greggio russo. La notizia ha una forte valenza politica poiché, su decisione degli Stati Uniti, si inquadra nella complessa manovra Usa che fin qui aveva riservato al Venezuela solo sanzioni.
Il suo contributo effettivo al fabbisogno energetico europeo dovrà essere ovviamente misurato alla luce del volume di petrolio possibilmente trasferito.
La quantità di petrolio che Eni e Repsol dovrebbero trasferire non sarebbe infatti ampia e di conseguenza l’impatto sui prezzi globali del petrolio sarebbe alla fine assai modesto.
Ma il via libera di Biden per riprendere i trasferimenti di flussi di petrolio a lungo precedentemente congelati dal Venezuela verso l’Europa è visto da Washington innanzitutto come uno strumento per provare a stabilizzare la situazione nel Paese sudamericano, dove gli Usa premono affinché il presidente Nicolas Maduro riprenda il dialogo con i partiti di opposizione.
La manovra americana, oltre che rappresentare un sostegno al continente europeo, si configura peraltro anche come una mossa per riequilibrare, a favore dell’Europa, i trasferimenti globali di greggio del Venezuela, riducendone la quantità verso la Cina, che finora assorbe il 70% dei carichi petroliferi venezuelani. E infatti la condizione fondamentale della concessione Usa è che il petrolio “deve andare in Europa. Non può essere rivenduto altrove”.
L’operazione che coinvolge ora la compagnia petrolifera italiana è iniziata in Venezuela nel 1998, con i primi accordi addirittura risalenti al 1963. Le attività sono concentrate nell’offshore del golfo del Venezuela, in quello di Paria e nella Faja Petrolifera dell’Orinoco per 35 miliardi di barili. La produzione è fornita dal giacimento a gas di Perla (che l’Eni detiene al 50%) e da altri due, mentre per il petrolio è stata accelerata l’esplorazione con una quota del 40% nel blocco Golfo di Paria Ovest. Il più recente accordo ha consentito l’ingresso nella joint venture con Repsol nella Compagnia di Stato del Paese.
L’indiscrezione, fatta filtrare da Reuters, sull’ok Usa al via libera di petrolio Eni-Repsol verso l’Europa ha fatto intanto scattare le azioni Eni in Borsa: il titolo ha guadagnato il 2,22%. Ma contemporaneamente ha confermato che la nuova programmazione della produzione di petrolio decisa solo qualche giorno fa da Opec+ non è sufficiente a fermare l’ascesa del greggio, schizzato oggi a 121 dollari al barile.
Sullo sfondo resta la discussione sul ruolo che il fabbisogno di petrolio assume nello scenario geopolitico internazionale. In proposito anche al recente Festival dell’Economia di Trento sono state confermate le critiche all’Europa, finita sul banco degli accusati per aver abdicato finora ad un suo possibile ruolo di concreta mediazione con Paesi, come l’Iran e la Libia, che pure avrebbero potuto contribuire ad affrancare il continente dalla dipendenza energetica dalla Russia.
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