Economia

Pax bancaria: prove tecniche di “sacrifici”

di Giovanni Vasso -


Pax bancaria. Non dite a Nanni Moretti che occorreva la destra per fare, non soltanto per dire, una cosa di sinistra e cioè tassare le banche senza alzare le imposte per famiglie, per i lavoratori (che anzi si ritroveranno buste paga più robuste) e piccole imprese. E non ditegli nemmeno che alle banche, tutto sommato, la cosa non fa certo piacere ma, comunque, non induce né alle barricate né a temere scossoni sui sempre sensibili e volatili mercati finanziari. Mentre l’Italia scopriva che anche Giorgetti ha un cuore e che pure la destra ha un’anima sociale, il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, ha affermato che “dopo molti decenni” e forse “per la prima volta” c’è stata “una positiva concertazione tra politica e finanza”. “Il contributo, che non è una nuova tassa – ha spiegato Sileoni in un’intervista rilasciata a Radio Inblu2000 vicina alla Conferenza Episcopale Italiana – secondo i nostri primi calcoli vale 2,5 miliardi di euro per due anni: 1,5 miliardi nel 2025 e 900milioni nel 2026”. Il responsabile del sindacato dei bancari spiega come funzionerà il contributo: “Si tratta di liquidità che le banche anticipano nelle casse dello Stato. Dal punto di vista tecnico, si interviene tecnicamente sulle Dta ovvero le imposte differite, cioè, in sostanza, crediti d’imposta che le banche stanno spalmando dal 2016 al 2029. Adesso – aggiunge Sileoni preconizzando l’ufficializzazione della “pax” bancaria – è stato trovato l’accordo di massima, che è equilibrato, con le banche, e l’Abi darà il via libera ufficiale, correttamente, dopo aver visto il testo scritto della bozza della legge di bilancio”. L’associazione delle banche, subito dopo l’approvazione della manovra avvenuta nella serata di lunedì scorso, aveva fatto sapere di non avere intenzione di commentare nulla prima della pubblicazione dell’articolato della manovra. Che dovrebbe essere presentato proprio dalla premier Giorgia Meloni. La stessa che, l’altra sera, ha voluto tendere la mano agli istituti di credito: “Le banche non sono avversarie del governo. Noi volevamo da una parte riuscire ad avere delle risorse, che potevano essere redistribuite particolarmente su famiglie e redditi bassi, ma non vogliamo neanche dare il segnale che le banche sono degli avversari, assolutamente”. “Per questo – ha concluso Meloni – abbiamo fatto un lavoro, anche insieme a loro”.

Tuttavia, il presidente Abi Antonio Patuelli ha voluto spiegare che le banche ritengono “che il sacrificio che abbiamo valutato concordemente possa essere sopportabile se non ci saranno eventi imprevedibili”. Per esempio “se i conflitti peggiorano e i prezzi del gas e del petrolio aumentano, e la cosa in qualche modo mi preoccupa visto l’andamento delle guerre in corso, il quadro cambia”. Per Patuelli tra le priorità c’è smontare la narrazione delle banche avide e insensibili alle sorti del Paese: “Le banche prosperano se l’economia è sana, e per questo abbiamo sempre avuto un atteggiamento costruttivo, di dialogo, con ogni interlocutore istituzionale, economico e sociale, in passato ed ora, per affrontare e risolvere i problemi. Non sono i primi sacrifici che facciamo, forse questa volta ci viene riconosciuto più esplicitamente”.

Le parole di Sileoni, e a maggior ragione quelle di Patuelli, sembrano anticipare una sorta di ok che potrebbe sancire la pace tra il governo e le banche. Circostanza, questa, che avvalora anche il vicepremier Antonio Tajani che, in veste di leader di Forza Italia, s’è sempre mostrato molto sensibile a questo argomento e s’è sempre espresso in maniera contrarissima alle tasse sugli extraprofitti bancari. “Sono soddisfatto dell’accordo con le banche, sarebbe un errore fare la guerra”, ha dichiarato a margine di un incontro Ppe in vista delle nomine e dell’esame degli aspiranti commissari europei. “Non ho alcun interesse, non sono socio di nessuna banca e il mio conto è anche modesto”, s’è schermito Tajani. Che ha gioito: “Abbiamo ottenuto, come chiedeva Forza Italia, un accordo con le banche e con le assicurazioni. Non un’imposizione, non una tassa: abbiamo ottenuto circa tre miliardi e mezzo. Questo è un risultato molto positivo, che rassicura i mercati, perché una tassa imposta dall’alto avrebbe preoccupato i mercati”. E quelli è sempre meglio non farli arrabbiare. Preferibile tenersi sui binari del liberalismo occidentale: “Una nuova tassa avrebbe allontanato anche eventuali investitori, che avrebbero temuto all’improvviso tasse sui profitti. Gli extra profitti non esistono: chi decide che cosa è un profitto e cos’è un extra profitto? Maduro o l’Unione Sovietica”. A proposito di sinistra. E di pax bancaria.


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