Patto di Stabilità, Meloni: “Migliorativo ma si poteva fare di più”
Il nuovo Patto di Stabilità è “migliorativo” rispetto alle condizioni del passato: Giorgia Meloni promuove l’intesa. E in una nota, il presidente del consiglio dei ministri ha spiegato: “E’ importante che sia stato trovato tra i 27 Stati membri della Ue un compromesso di buonsenso per un accordo politico sul nuovo Patto di stabilità e crescita. Nonostante posizioni di partenza ed esigenze molto distanti tra gli Stati, il nuovo Patto risulta per l’Italia migliorativo rispetto alle condizioni del passato”.
Non vuol dire, però, che ci sia chissà che entusiasmo rispetto al nuovo strumento licenziato ieri dall’Ecofin all’unanimità. Tuttavia, quel che c’è di buono nel nuovo Patto di Stabilità, per la premier Meloni, va pur sottolineato: “Grazie a un serio e costruttivo approccio al negoziato -continua il comunicato diramato da Palazzo Chigi – l’Italia è riuscita, non solo nel proprio interesse ma in quello dell’intera Unione, a prevedere meccanismi graduali di riduzione del debito e di rientro dagli elevati livelli di deficit del periodo Covid”. Ma non è tutto: “Inoltre, si terrà conto degli investimenti del Pnrr e dei maggiori costi sugli interessi causati dall’innalzamento dei tassi di interesse da parte della Bce e le spese per la difesa saranno considerate separatamente in quanto fattori rilevanti”.
Dopo i pro, arrivano i contro: “Sebbene il nuovo Patto contempli dei meccanismi innovativi volti a tener conto degli effetti di eventi esterni e straordinari nel computo dei parametri numerici da rispettare – spiega Meloni -, rimane il rammarico per la mancata automatica esclusione delle spese in investimenti strategici dall’equilibrio di deficit e debito da rispettare. Una battaglia che l’Italia intende comunque continuare a portare avanti in futuro”.
Con il nuovo Patto, l’Europa ha trovato uno strumento per superare il vecchio e si prepara al 2024 quando torneranno in vigore le misure per garantire la stabilità dei conti dei Paesi membri. Il dilemma adesso sarà quello di comprendere se l’impianto del nuovo strumento garantirà, effettivamente, agli Stati indebitati (come l’Italia) di portare a termine gli investimenti necessari al rilancio.
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