Arriva il patto di Stabilità: “Regole pesanti per l’Italia”
Adesso ci sono le elezioni e tutto finisce in gazzarra. Ma il mondo, in particolare l’Europa, non aspetta. E ci sono dei temi che restano alla finestra. Quando le urne di giugno si saranno aperte e poi richiuse, quando una nuova maggioranza, a prescindere dal colore, avrà incoronato il nuovo mandato della Commissione Ue, gli italiani capiranno se l’accordo siglato dal governo sul tema, centrale, del Patto di stabilità fu vera gloria. La Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili, presieduta da Luigi Pagliuca, non ha voluto aspettare. E ha riunito, intorno a un tavolo, parlamentari ed esponenti istituzionali per fare il punto sui temi caldissimi della politica economica comunitaria. Le idee, nel dibattito, sono diametralmente opposte. C’è il senatore Luca De Carlo (Fdi) che benedice l’accordo: “Abbiamo negoziato le nuove condizioni del patto di stabilità con l’Unione Europea riuscendo anche ad ottenere un impatto diverso rispetto alle precedenti misure che puntavano ad una austerity eccessiva”. Dunque, ribadendo che il centrodestra sta “dimostrando di essere un governo coeso, con un preciso controllo dei conti pubblici”, sottolinea che “i primi risultati si sono registrati con la nuova fiducia riconosciuta dai mercati e dalle agenzie di rating che attestano la credibilità del progetto di ristrutturazione dell’Italia. Senza più subire le coercizioni dall’esterno”. Per De Carlo, inoltre, c’è il tema del buco di bilancio e del deficit “ereditato dai precedenti governi frutto di una gestione errata del reddito di cittadinanza e del superbonus: due misure hanno gravato sui bilanci dello Stato per oltre 174 miliardi di euro”.
La lettura che, invece, offre Antonio Misiani, responsabile economico del Pd, è diversa e accusa Palazzo di Chigi di aver “subìto l’accordo franco-tedesco sul Patto di stabilità interno”. Un Patto che, per Misiani “è molto peggiore rispetto alla proposta della Commissione europea e reintroduce regole improntate all’austerità, riducendo gli spazi di bilancio negli anni a venire”. L’esponente dem tuona: “Sarà una gabbia per il nostro Paese: dopo le elezioni europee entreremo in procedura di deficit eccessivo e ci troveremo regole molto vincolanti. L’accordo avallato dal governo Meloni ristabilisce la politica dell’austerità con l’aggravante della mancanza di strumenti comuni europei per finanziare i beni pubblici, la transizione ecologica e quella digitale”.
Le considerazioni dem non convincono il deputato Fi Alessandro Cattaneo che imposta la questione su altri termini e rilancia la necessità di far aumentare il Pil per poter far fronte, con nuove e più consistenti entrate fiscale, al debito insostenibile del Paese. Viceversa, il M5s con Filippo Scerra deplora il fatto che “Con queste misure non si permetterà più a un paese indebitato come il nostro di poter continuare ad investire in politiche espansive che gli hanno consentito di crescere oltre il 12% negli anni in cui abbiamo potuto esercitarle”.
Le conclusioni tecniche sono state affidate a Paolo Longoni, consigliere dell’Istituto nazionale esperti contabili: “Dopo la sbornia della pandemia, durante la quale tutti hanno finanziato in deficit, anche l’ultima legge di Bilancio è stata fatta con una formula espansiva. Il governo si è assunto la sua responsabilità ritenendo di fare bene, ma adesso il nuovo patto prevede che in un arco di dieci anni si rientri nel rapporto corretto tra deficit e Pil proponendo un piano di aggiustamento quadriennale che può essere allungato a sette se è collegato a un programma di investimenti sotto monitoraggio della Commissione Europea”. Longoni ha poi aggiunto: “L’obiettivo è quello di mettere il rapporto debito – Pil su un percorso decrescente nel decennio a venire. E’ condito, però, da due regole molto pesanti per il nostro Paese. La prima è che il rapporto debito-Pil deve ridursi ogni anno di almeno un punto, è la regola quantitativa; il secondo vincolo riguarda il disavanzo, non è più sufficiente garantire che il rapporto debito – Pil rimanga al sotto la soglia del tre per cento per i paesi che hanno un debito maggiore del 90 per cento del Pil. E noi siamo al 140%. Si tratta ancora una volta di regole quantitative molto pesanti e il nuovo obiettivo sul deficit è assolutamente difficile da raggiungere per un Paese come il nostro”. Insomma, occhio alla mazzata: “Quello che occorre – conclude Longoni – è un programma di miglioramento attento che deve avere un respiro lungo”.
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