Patrick Zaki, Chico Forti e la strada per la libertà
“E ora riportate Chico Forti a casa”. La grazia a Patrick Zaki accende di nuovo i riflettori sull’italiano condannato all’ergastolo senza condizionale negli Stati Uniti, recluso in un penitenziario della Florida da 34 anni e in attesa che la sua richiesta di estradizione venga accettata. La vicenda di Chico Forti, però, è del tutto differente dalla storia di Zaki. Il produttore tv si è sempre proclamato innocente nonostante la condanna al carcere a vita per l’omicidio di Dale Pike, ucciso a Miami il 15 febbraio 1998, ma, esauriti gli appelli, si è reso conto di non avere alcuna alternativa per far riaprire il suo caso. Così è stato costretto ad ammettere la propria colpevolezza per accedere alla Convenzione di Strasburgo, il trattato internazionale che consente a un detenuto di essere trasferito a scontare la pena nel suo paese d’origine.
Forte della schiera di innocentisti che, in questi anni, hanno sostenuto la causa del produttore tv, Chico ha pensato che fosse l’unica soluzione: barattare il suo onore in cambio della possibilità di tornare in Italia, per riabbracciare la madre 95enne, Maria, e rivederla almeno un’ultima volta. Sapendo però che sarebbe rientrato in patria con il marchio da assassino, che lui ha sempre rifiutato, e che non sarebbe stato libero di rivedere la sua Trento, ma avrebbe dovuto comunque continuare a vivere in una cella, a meno della grazia da parte del Presidente della Repubblica. Così Chico Forti aveva invocato la convenzione di Strasburgo, consapevole tra l’altro delle criticità del suo caso, controverso non solo per la pubblicità negativa che l’onda innocentista ha creato al sistema della giustizia americana, ma soprattutto perché gli Stati Uniti non hanno mai concesso la Convenzione di Strasburgo a detenuti con l’ergastolo senza possibilità di condizionale. E in un Paese dove ogni sentenza diventa un precedente, la concessione del trasferimento in patria a Chico aprirebbe la porta a una marea di ricorsi che metterebbero in imbarazzo gli Usa.
Nonostante tutte le difficoltà sul cammino, inaspettatamente, poco prima di Natale 2020 l’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio era uscito con un annuncio trionfante: “Ho una bellissima notizia da darvi: Chico Forti tornerà in Italia. L’ho appena comunicato alla famiglia e ho informato il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio. Il Governatore della Florida ha infatti accolto l’istanza di Chico di avvalersi dei benefici previsti dalla Convenzione di Strasburgo e di essere trasferito in Italia”. Un messaggio su Facebook che faceva prevedere l’imminente trasferimento del produttore tv nel nostro Paese. E quando Forti era stato spostato dal penitenziario di massima sicurezza di Miami a una struttura dove sono reclusi tutti detenuti stranieri in attesa di trasferimento, il gioco sembrava fatto. Peccato però che la firma del governatore Ron DeSantis era solo il primo scoglio da superare, perché a quella doveva seguire il parere positivo della giustizia federale degli Stati Uniti, rimasta silente per quasi tre anni, viste le resistenze che ancora permangono tra i giudici che hanno trattato il caso Forti e la lunga lista d’attesa delle domande di accesso alla Convenzione, presentate prima di quelle dell’italiano. Un barlume di speranza si è riacceso quando Giorgia Meloni, che ha sempre sostenuto la causa di Chico Forti, è diventata premier e ha garantito all’italiano e a Gianni Forti, zio di Chico, che avrebbe avviato una negoziazione diplomatica con gli Stati Uniti per riportare in Italia il condannato alla prigione a vita. In questi mesi lo stesso ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha affrontato la questione con il segretario di Stato americano, Anthony Blinken, e per la famiglia Forti si è riaccesa la speranza che Chico sarebbe presto tornato a casa.
Un rientro che, soprattutto dopo la fuga di Artem Uss e le tensioni per la mancata estradizione del faccendiere russo, è sembrato sempre più allontanarsi. Senza contare che la domanda di accesso alla Convenzione di Strasburgo presentata da Chico sarebbe in coda a un ampio numero di richieste e dunque non è stata ancora nemmeno vagliata. Resta il lavoro diplomatico e la speranza di un uomo che ha resistito 23 anni in carcere proclamandosi innocente, Un uomo che, se lascerà mai quella cella, dovrà farlo nella veste di assassino di Dale Pike, il figlio dell’anziano albergatore a cui, per l’accusa, Forti voleva sottrarre il Pike Hotel di Ibiza con una truffa, alla scoperta della quale Dale si era messo in mezzo all’affare. E Chico, per liberarsi dell’ostacolo, aveva architettato il delitto. Per poi mentire alla polizia, dicendo di non aver visto Dale, giurando che il ragazzo non era all’aeroporto quando era andato a prenderlo, poco ore prima che venisse ammazzato. Ma Chico è stato l’ultimo a vedere Dale Pike vivo e, per la giuria, è stato lui a portare la vittima al macello, come un agnello sacrificale.
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