Parte Sanremo, possiamo sopravvivergli
Ma dove potrà trovarlo più la “nuova” Rai uno come Carlo Conti che è già una gallina dalle uova d’oro con dentro 13 milioni di ascoltatori per la prima maratona del Festival di Sanremo 2025, già ufficiosamente confermato per l’edizione 2026? Il rassicurante presentatore supera l’ormai dimenticato Amadeus, mette a tacere con un piglio da tribuno di maggioranza in Parlamento chi mette in dubbio che Papa Francesco sapesse compiutamente dove andava a finire quella videolettera e se ne frega pure dei ballerini che a tarda notte hanno spezzato la mano sinistra della sua finta statua in bronzo durante il Dopofestival.
Faceva il deejay, pubblicò il suo primo Italodisco con il fantasiosissimo pseudonimo Kont e una copertina oggi definita horror, frequentando a quei tempi autori che lavoravano pure per Ilona Staller e i Liftiba. Ieri sera andava di fretta e, quasi a metà serata, aveva pure guadagnato una manciata di minuti poi bruciati dall’inarrestabile parlantina di Jovanotti. Ha commissionato la sigla di questa edizione, una tarantella, tanto per chiarire senza mezzi termini che tutto, ma proprio tutto, deve finire a tarallucci e vino.
La cronaca differita della prima maratona tv è lunga.
Si apre in orario, preceduti da un’inutile Anteprima che è solo una polpetta avvelenata infarcita dagli sponsor della kermesse con un conduttore in grigio, un’attrice che inanella frasi in napoletano pensando di fare la simpatica, una adrenalinica vincitrice di “Ballando con le stelle” che dovremo sorbirci per chissà quanto ovunque nei palinsesti ma della quale non dimentichiamo il clamoroso flop di un programma dalla sede Rai di Napoli, una ragazza che parla da un balcone infiorato e due “comici” che non fanno ridere e sono la bruttissima copia di Ficarra & Picone quando non erano impegnatissimi attori al fianco del pluripremiato Toni Servillo.
L’audio va via per alcuni secondi, Conti non se ne accorge e tira dritto, ha fretta. Al suo fianco Antonella Clerici in argento e poi in oro (custodisce al sicuro un cornetto portafortuna “nelle mutande”, confessa) e uno scanzonato Gerry Scotti, in prestito da Mediaset come lo sarà poi Bergoglio più avanti per concessione di Fabio Fazio (una battuta di Alessandro Cattelan nel Dopofestival).
Scotti se ne frega delle regole e canta i motivetti delle canzoni pure al termine dei brani, ma ieri sera votava (soltanto) la stampa. Prove tecniche di cantanti che sgomitano, con 5 che superano gli altri in ordine sparso: Brunori sas, Lucio Corsi, Simone Cristicchi, Giorgia e Achille Lauro. Stasera, invece, si farà “sul serio”: voteranno gli italiani “da casa” e nessuno saprà mai – come per le 74 edizioni precedenti – se qualcuno muove truppe cammellate di votanti come accade da sempre in ogni elezione che possa definirsi tale.
Si parte con il ricordo di Ezio Bosso. Commozione, le lacrime della Clerici per Fabrizio Frizzi. Più avanti ci si commuoverà, sempre di corsa, anche per Sammy Basso.
La madre di Gaia le faceva sentire Caetano Veloso, Ray Charles, Diana Ross, Beyoncé e Stevie Wonder ma lei, con un’acconciatura “modello vimini”, vira su un motivetto acchiapparadio scritto, tra gli altri, da Davide Petrella per anni escluso dall’Ariston e che invece stavolta imperversa.
Francesco Gabbani canta Gabbani. E’ al solito intrigante, con un refrain che ricorda la sua fortunata sigla della serie tv “Un professore”.
Rkomi non ha la maglietta della salute, Scotti lo sfotte e dice che gli autori del brano sono tutto il suo condominio. Nel brano, il record di gerundi di questa edizione.
Noemi, una dimagritissima Jessica Rabbit, ha un brano che si farà valere.
Il furbo Conti ha messo il braccialetto elettronico a tutti gli spettatori (Jovanotti dirà “La Rai spende, eh?”), puntando all’effetto Palasport dei concerti, il risultato è quello che è. Mentre anche la pubblicità degli spot che seguono si adegua da un lato alla sofferenza pacata che domina la rassegna (“Dolore e febbre”) e dall’altro irrita con quei famosi treni che per mesi hanno riservato a viaggiatori e stranieri un mare di ritardi, qui pieni di gente che canta e suona.
Irama ha un cappotto da ammiraglio e sembra il fratello minore di Blanco. E canta una frase significativa (“Non cambia niente, lentamente”).
I Coma Cose saranno “perfetti” il giorno di San Valentino e nelle radio, con una pioggia di cuoricini e una eco di Tananai, che aleggia con la sua hit del 2024 anche in altri pezzi.
Arriva Simone Cristicchi e fa Simone Cristicchi, cantando l’Alzheimer della madre. La retorica è lì sul palco a fargli compagnia.
Marcella Bella è orgogliosa di essere una stronza e una mina vagante. Chapeau!
Achille Lauro, a degna distanza da Fedez, fa una cover di Achille Lauro (con un flash di Tananai) e ha un tight – sapremo nel Dopofestival – che di solito si indossa per andare al cospetto di una Casa Reale.
Arrivano Noa e Mira Awad per cantare Imagine di John Lennon, l’ultima bandiera della pretesa intellighenzia di sinistra in Italia. Nessuno nomina Israele e Hamas. Noa – che ha una figlia arruolata nell’esercito di Tel Aviv – ha detto in un’intervista che Trump è un pazzo e che il pericolo del suo Paese è il governo di Netanyahu, ma qui si prenota solo con la sua collega palestinese per venire nell’edizione 2026 a celebrare a Sanremo un vero accordo di pace. Papa Francesco, in una videolettera registrata malissimo, parla della sua mamma, pure lui.
Giorgia fa Giorgia. Ottima prova vocale per un brano un po’ annacquato, specialmente nel testo.
Willy Peyote ha il brano più politico del Festival, in un flash compare nel pochissimo inquadrato Coro della rassegna lo stand up comedian Luca Ravenna. Muto, ma è un piccolo grande spettacolo.
Arriva Rose Villain in total red: dal fondo dell’Ariston gridano “Sì ‘na preta!” presumibilmente mossi dalla sua scultorea posa. Stamattina un ex consigliere comunale del Casertano si guadagna pochi minuti warholiani di notorietà sui social chiedendole scusa, ma non è stato lui. Il brano parla di un fuorilegge, ma non è un poveraccio beccato dall’etilometro del nuovo Codice della Strada.
E’ l’ora di Jovanotti. Vestito d’oro muovendosi in una strada occupata da decine di batteristi di Rockin1000, danza con un gruppo indiano, entra nell’Ariston e lo arpiona un’anziana che sembra una comparsa di un film di Federico Fellini, diventando subito un meme. Jovanotti è il Giuseppe Garibaldi di questo festival (pure lui “fu ferito ad una gamba”), bacia la figlia, canta canta canta e parla parla parla, interrompendo pure Carlo Conti e dando nella foga una mano in faccia a Gianmarco Tamberi che annuncia di andare a Los Angeles 2028 dopo aver recitato con il cantante – udite, udite – alcune parole di Franco Bolelli, un filosofo controcorrente morto nel 2020 e che non saprà mai di essere finito qui.
Only è genovese e faceva il rugbista, poi ha avuto l’ernia del disco (non è una battuta) e ora con le ascelle depilate canta una balorda nostalgia.
Elodie, si eccita Rep, “illumina l’Ariston” ma è solo il suo vestito, che sembra la tuta di carta stagnola che avevano gli astronauti nei film di serie B degli anni ’70. La sua canzone si può dimenticare non soltanto alle 7.
Il produttore Shablo canta (per la verità, suona) cemento e smog un secolo dopo Adriano Celentano. Si saprà chi è, nel gruppo che lo accompagna, solo quando si prende il mazzo di fiori. Un suo collega chiede garbatamente, per il FantaSanremo, di “abbracciare la signora”.
Massimo Ranieri canta come sa cantare solo lui gonfiando le vene del collo, i violini dell’orchestra sovrastano ogni traccia di Tiziano Ferro nel brano.
Carlo Conti corre a incontrare Raf nell’arena esterna, un’altra polpetta avvelenata di uno degli sponsor. Nell’uscire dà un buffetto – per intensità e leggerezza simile alle molestie sessuali della calciatrice spagnola arrivata alle cronache giorni fa – a una persona seduta nelle ultime file: è l’ex direttore di Rai 1 Stefano Coletta, da tempo “esiliato”, che due anni fa si immolò in Sala Stampa provando a difendere dai parrucconi italiani le intemperanze di quell’edizione del festival.
E’ il momento di Tony Effe. Si è coperto i tatuaggi, sembra un attore non protagonista di una prossima stagione di “Suburra”. Cita Califano, il Califfo non potrà mai mandarlo in qualche posto.
Serena Brancale è tra i pochi artisti a suonare sul serio sul palco. La sorella Nicole che dirige l’orchestra giustamente si vuole far chiamare “maestro”.
Brunori sas non sa dove mettere le mani ma sa come abbinare parole e musica. Per stare al gioco di Sanremo si sta prestando a tutto, più tardi al Dopofestival confesserà che lo hanno obbligato a infilare perfino un loden.
I Modà citano Kandinsky, ma pure questo pezzo sembra da dimenticare.
Clara canta la febbre, si piace e la cosa si nota molto.
E’ il turno di Lucio Corsi, nell’outfit la versione 5.0 del Renato Zero magrissimo che solo i sorcini si ricordano. E’ bravo, ha un bel pezzo.
Arriva Fedez con le lentine total black per cantare la guerra dei mondi, un bel colpo. “Prenditi pure i miei soldi, basta che resti lontana da me” è la prova provata del fatto che anche a Milano non è che poi ci siano efficacissimi consulenti matrimoniali.
Il brano di Bresh, cantautorato vecchio stampo, soffre un po’ la scaletta interminabile. Il cantante genovese a Sanremo sta usando un cellulare vecchissimo, che non prevede il traffico internet e quindi l’uso dei social.
Sarah Toscano è la più giovane tra gli artisti in gara, ma non potrà mai battere ogni primato di Nada. Ha una treccia, forse finta, e sembra la sorellina di Annalisa.
Joan Thiele ha due trecce, forse finte, e una chitarra niente male.
Rocco Hunt si è spinto a dichiarare che i giovani non possono morire per una cazzata. Ci sarebbe da eliminare il motivo, per fare davvero sul serio. Canta veloce, come sa fare da tempo.
Pure l’infortunata Francesca Michielin – qualcuno la sta nominando, le cade un auricolare, l’orchestra deve rinviare lo start – ha una eco di Tananai nel brano, decisamente inferiore alle sue hit.
I Kolors se ne fregano, vendono e infiorettano questo ennesimo tormentone con un “mai mai mai” datato 2018.
“Tutta l’Italia” potrebbe andare a dormire ma c’è il Dopofestival: Jovanotti in calzini grigi da geometra del Catasto parla e parla e parla e bacia solo due delle tre donne presenti, Selvaggia Lucarelli e Alessandra Celentano (che si contendono la palma di essere “la più stronza” del programma), trascurando la terza, Anna Dello Russo, esperta di moda in veletta (ma vuoi mettere Isabella Ferrari in Parthenope?).
Ci sono pure Only, Bresh e Brunori sas, ma sono ormai tramontati i tempi in cui il programma per certi versi valeva più della puntata. Francesca Michielin è costretta ad una scoperta gag che la obbliga a non riuscire sulle stampelle ad arrivare in tempo dall’Ariston al glass.
Non ci sono più Che Guevara e Madre Teresa, ma noi siamo ancora vivi. Stasera c’è la seconda puntata.
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