Dialoghi sulla fede – Bertinotti: “Francesco comunista? Sciocchezze Difende la civiltà dal rischio catastrofe”
di FRANCESCA CHAOUQUI
Dalla crisi della sinistra all’elezione di Elly Schlein, da Papa Francesco ai diritti dei lavoratori: è un Fausto Bertinotti a tutto tondo quello che commenta le ultime vicende politiche e sociali italiane. L’ex presidente della Camera e leader storico di Rifondazione Comunista parla dell’attuale governo e del ruolo dell’Europa, non risparmiando critiche a una sinistra ormai alla deriva e incapace di rappresentare una reale alternativa per il Paese.
Attualmente ci troviamo di fonte a uno scenario politico completamente mutato rispetto a dieci anni fa. Come è cambiata la sinistra italiana in questo lasso di tempo? Cosa ha consentito alla destra di salire al governo?
Credo che bisogna allungare il tempo e allargare il campo dell’analisi. Ciò che viviamo oggi è l’esito di una vicenda che dura da almeno 50 anni, durante i quali sono avvenute due cose che hanno cambiato l’assetto geopolitco: il crollo dell’Unione Sovietica a Est e la sconfitta del movimento operaio a Occidente. Queste due sconfitte storiche hanno gettato le basi per la rivincita del capitalismo, compiuta attraverso una rivoluzione restauratrice che sfrutta il dominio dell’economia sulla politica, che ristruttura culture di fondo della società e dà vita a nuove forme di senso comune. In questo scenario, la sinistra prima è stata annientata e poi si è adattata all’egemonia delle nuove culture vincitrici. Sostanzialmente, ha cambiato campo: dal terreno della lotta di classe è approdata al terreno della governabilità e del governo come sostitutivo di ogni altra cultura. In termini più drastici, si è suicidata o, meglio, ha subito una mutazione genetica che l’ha resta parte della classe dirigente e delle élite, con una separazione dal popolo. Parafrasando Thomas Stearns Eliot – che si chiedeva “È la Chiesa che ha abbandonato il popolo, o è il popolo che ha abbandonato la Chiesa? – possiamo affermare che è stata la sinistra ad abbandonare il popolo determinando l’ascesa della destra.
A proposito di Chiesa, tutti definiscono Papa Francesco comunista. Lo chiedo a lei: è comunista?
Questa è una sciocchezza. Il Pontefice non ha dimensione prioritariamente politica, ha una propensione profetica, di testimonianza. Il che non vuol dire che i suoi atti non abbiano conseguenze politiche, ma che sono autonomi da questa.
Come giudica gli atti di Papa Francesco che hanno avuto conseguenze politiche?
Benedetti. Hanno infranto – o almeno ci hanno provato – il muro del conformismo e degli elementi costitutivi del pensiero oggi dominate.
Quindi è un Papa che si immischia?
Assolutamente no. Il Papa compie degli atti nella sfera che gli è propria, i quali hanno un’influenza sulla storia sociale del mondo. È una cosa diversa.
Come giudica le posizioni del Papa su temi come la povertà, il lavoro, la pace?
Si tratta di posizioni che tendono a difendere la civiltà dal rischio della catastrofe.
In Italia la catastrofe è vicina? È lontana? L’abbiamo sfiorata?
La catastrofe riguarda le sorti dell’umanità, non di un singolo Paese. Quando si affaccia, lo fa sotto i segni della guerra, della crisi ecologica, della disuguaglianza, della perdita di senso del lavoro e della vita e si affaccia come dimensione universale.
Forse però l’armocromia aiuta il disfacimento?
Queste sono cose da niente. La crisi della cultura politica italiana deriva proprio dal guardare i frammenti invece che il sistema. Ciò è il frutto di una perdita di visione, di capacità di interpretazione del mondo. E la sinistra purtroppo è prigioniera di questi frammenti, ha smarrito la sua dote fondamentale, quella di saper leggere ogni avvenimento all’interno di una prospettiva storica. L’idea politica, quando è grande, si propone di costruire un’alternativa alla società esistente. Persa quella visione, quell’ideologia, la sinistra ha smesso di essere una potenza in campo.
Sul tema della guerra, che ruolo potrebbe giocare l’Italia?
Un ruolo potrebbe giocarlo l’Europa, se avesse una natura politica forte e non fosse ridotta a un mero fenomeno economico. Ma l’Europa vive una doppia dipendenza: dai processi di accumulazione capitalistica e, politicamente, dagli Stati uniti d’America.
C’è una reale deriva autoritaria che possa manifestarsi all’interno dell’Europa?
In realtà è iniziata da molto tempo, siamo già ai titoli di coda. Nell’ultimo quarto di secolo è avvenuta una dissoluzione della democrazia: quando il capitalismo si è affermato, ha rivelato la sua incompatibilità con la democrazia ed è iniziato un processo di erosione sistematica: leggi elettorali che tolgono potestà al cittadino votante, manomissione dei poteri del parlamento, governi dominati dalla figura del premier, sovrapoteri nazionali che ne definiscono la priorità. Ciò ha prodotto una rottura tra la politica e il popolo. Siamo di fronte a crisi della democrazia rappresentativa, sulla quale si innestano le derive autoritarie che i governi di destra interpretano in tutta Europa.
Alla guida del Partito Democratico c’è Elly Schlein: è la persona giusta per rappresentare i lavori della Fiom?
I diritti dei lavorati non sono rappresentati ormai da molto tempo. Oggi la capacità di raccogliere queste istanze è affidata più alla rivolta che alla rivendicazione. Basta guardare alla Francia, 12 scioperi generali nell’ultimo periodo per protestare contro la riforma delle pensioni.
Questo governo può fare realmente qualcosa per la classe operaia?
Sì, andarsene. Ma l’ultima cosa che farebbe è vendere la maggioranza. Questo governo va combattuto non indagato. Anche con la rivolta.
Papa Francesco potrebbe guidare questa rivolta, a livello di valori?
Dobbiamo rifuggire l’idea che, siccome la politica è moribonda, bisogna affidarsi di volta in volta a un salvatore, che sia il Papa o i centri di governo reale come la Banca Centrale Europa, il Fondo Monetario Internazionale ecc… Ogni volta che la politica si rivolge a una qualche potenza esterna dimostra semplicemente la sua inettitudine.
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