Pantani, l’ombra della camorra sul Giro del 1999
Ma davvero dietro a una delle pagine più buie del ciclismo su strada, la clamorosa squalifica della maglia rosa Marco Pantani dopo la famosa tappa di Madonna di Campiglio del 5 giugno 1999, dominata in lungo e in largo dal campione romagnolo che stravinse con 6’ di vantaggio, per la violazione delle norme antidoping a causa di un ematocrito troppo elevato, ci sarebbe stata la mano della camorra, che avrebbe fatto manipolare le provette per far escludere il Pirata?
Vent’anni dopo la morte di Pantani, l’ombra della camorra
A oltre vent’anni dalla morte del ciclista, avvenuta il 14 febbraio 2004 nella stanza D5 dell’albergo Le Rose di Rimini per una presunta overdose, la Procura antimafia di Trento dopo le rivelazioni di alcuni pentiti di camorra ha aperto un fascicolo per l’ipotesi di “associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata alle scommesse clandestina collegata al decesso di Pantani” quando egli aveva solo 34 anni. La Pm Patrizia Foiera, coordinata dal procuratore Sandro Raimondi, ha acquisito agli atti la testimonianza dell’ex capo clan di Mondragone che di recente ha spiegato che “se Pantani avesse vinto quel Giro d’Italia il banco sarebbe saltato. E la camorra avrebbe dovuto pagare diversi miliardi in scommesse clandestine e rischiava la bancarotta”. La Pm Foiera ha sentito a verbale numerosi testimoni legati ai clan dei Casalesi, i capi di Afragola, di Portici e dell’alleanza di Secondigliano e sarebbe emerso che tutti sarebbero stati uniti per incastrare Marco Pantani “perché altrimenti avrebbe buttato in mezzo alla strada quelli che gestivano le scommesse”. Ma è davvero una ricostruzione attendibile o appartiene a quelle suggestioni interessate che a volte i pentiti propalano in maniera tutt’altro che disinteressata? “La procura di Trento – afferma l’avvocato Fiorenzo Alessi per la famiglia Pantani – sta lavorando in modo molto diligente su tutti gli elementi acquisiti, compresa la relazione finale della commissione parlamentare d’inchiesta antimafia sul caso Pantani nel periodo compreso tra la tappa di Madonna di Campiglio e il decesso di Marco cinque anni più tardi”.
Più volte l’autorità giudiziaria di Rimini e Forlì si è espressa sulla vicenda del campione, senza che si mettesse però un punto fermo a un mistero che presenta molti aspetti strani. “Marco venne sospeso quel 5 giugno 1999 – prosegue Alessi -, quando era in testa a due tappe dalla fine con un vantaggio incolmabile, perché gli sarebbe stato riscontrato un livello dell’ematocrito di quasi l’11% superiore al consentito”. Le modalità di prelievo del sangue non sarebbero state corrette, insiste il legale, perché alla provetta di Pantani – la cui splendida carriera che l’aveva portato l’anno precedente a vincere l’accoppiata Giro/Tour, venne di fatto affossata quel giorno – anziché un numero progressivo anonimo le sarebbe stato assegnato il numero 11440 perché fosse così riconoscibile. Perché in questa maniera, sospettano anche gli inquirenti, sarebbe stato più agevole manipolarla. È possibile? L’avvocato Alessi puntualizza che “sulla vicenda di Madonna di Campiglio la procura di Forlì qualche anno fa indagò in maniera molto puntuale ed arrivò a chiedere al Gip l’autorizzazione a svolgere intercettazioni telefoniche su alcuni sospettati. Però il Gip fu di diverso avviso e la procura, privata degli strumenti ordinari come le intercettazioni telefoniche e ambientali, che nel caso Pantani non sono mai state disposte, fu poi costretta a chiedere l’archiviazione”. Alessi aggiunge anche che “la singolarità del caso Pantani è che non c’è mai stata traccia né a Rimini, per l’ipotesi dell’omicidio, né a Madonna di Campiglio di attività di indagine intercettiva”.
Tra l’altro l’allora assistente capo della Polizia scientifica, Maria Teresa Bisogni, ha rivelato che “ sulla scena della morte di Pantani, nella stanza d’albergo, per primi avrebbero dovuto entrare gli operatori della scientifica opportunamente attrezzati con calzari, guanti e tute, invece dovemmo aspettare all’esterno mentre altri si trovavano dentro”. L’avvocato Alessi ricorda che Tonina Belletti, mamma del Pirata, non si è ami arresa alla verità, “non cerca colpevoli ma prima di morire vuole capire quello che è successo davvero”. Le testimonianze dei pentiti, ricordato che da sole non saranno sufficienti, che parlano di manipolazioni della provetta del sangue di Pantani, possono far svoltare le indagini condotte dalla Pm Foiera? “Noi ci crediamo – ripete ai cronisti l’avv. Alessi – per colmare quei «buchi investigativi», come li definì la Commissione parlamentare antimafia”.
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