Palermo, il furto de “La Natività” di Caravaggio
di GIANLUCA GIOÈ
Michelangelo Merisi, meglio noto come Caravaggio, è un artista i cui frutti del genio si possono ammirare in tutto il mondo: da Milano a Madrid, da Malta a Kansas City, da New York a Firenze, da Parigi a Siracusa, Da Londra a Città del Vaticano, da Roma a San Pietroburgo. Tanto basta per decretarne la caratura di diamante le cui facce brillano in ogni parte dell’orbe terracqueo.
A partire da domenica 2 giugno e fino al 6 ottobre, a Catania, nella pinacoteca “Santa Chiara”, è in corso un’importante mostra, dal suggestivo tema “Caravaggio: la verità della luce”. Altrettanto affascinante sarebbe anche la luce della verità sull’alone di mistero, lungo quasi 55 anni, che gravita attorno al furto dell’unica testimonianza di arte caravaggesca a Palermo: la mostra di Catania avrebbe avuto certamente l’onore di ospitare anche la tela del 1609 “Natività con i santi Lorenzo e Francesco”, proditoriamente sottratta in una notte d’autunno, tra il 17 e il 18 ottobre del 1969, dall’Oratorio di S. Lorenzo di Palermo, noto per i celeberrimi stucchi del Serpotta. Campeggiava al centro della “Natività” la figura di una Madonna dallo sguardo assorto e triste, quasi presaga dell’infame destino che avrebbe travolto non soltanto la sua creatura ma anche la tela sulla quale ne veniva annunciata la venuta al mondo.
Don Benedetto Rocco, parroco della chiesa, aveva rivolto sonore istanze alle competenti autorità, perché attorno alla tela fosse eretta un’efficace cinta di protezione. Che importanza avrebbe potuto avere una tela di Caravaggio in un quartiere malfamato e degradato com’era allora quello della Kalsa, dove le urgenze erano di ben altra natura? Furono interpellate le sorelle Emilia e Maria Gelfo, il cui padre era stato il custode dell’Oratorio, tanto bastava per far assumere alle due donne il medesimo ruolo, per “diritto ereditario”. Ma in che modo i ladri avevano potuto varcare le soglie di un tempio in cui l’arte conviveva col sacro? Una porticina sgangherata con una serratura malridotta, facilmente violata dalla punta di un coltello, aprirà il varco ai chiaroscuri di una tela i cui colori brillavano ancora, merito di un restauro del 1952. Gli stucchi serpottiani assistono, nella loro muta bellezza, ad un furto epocale. Una lametta da barba, a causa di frettolosi ed imprecisi fendenti, compromise da sùbito l’integrità del dipinto; poi un maldestro arrotolamento sottrarrà definitivamente agli sguardi della posterità il capolavoro seicentesco. E la polizia? Fu immediatamente chiamata? Neanche per sogno. Le sorelle Gelfo ritennero opportuno convocare il parroco, il quale informò l’allora vescovo Carpino; poi fu informato il sovrintendente alle Belle Arti di Palermo, Vincenzo Scuderi, il quale non ebbe fretta di chiamare immediatamente la polizia. In questi casi il tempismo è la prima protezione per evitare improvvidi sconfinamenti. È così che Palermo perde la geniale impronta di Caravaggio. Sic transit gloria mundi. Ma dov’è finita una delle tele più ricercate dal reparto operativo del nucleo dei carabinieri addetti alla tutela del Patrimonio Culturale? Sarebbe veramente tutta colpa della trasmissione Capolavori nascosti andata in onda in seconda serata su rai due il primo agosto del 1969? Il programma era incentrato principalmente sul fascino degli stucchi del Serpotta ma aveva potuto “svelare” urbi et orbi l’esistenza ed anche l’esatta ubicazione del pregevole dipinto caravaggesco. Con ogni evidenza la tela fece gola ad ambienti malavitosi, che conducevano in città, tra gli altri, un fiorente business di opere d’arte di inestimabile valore da ricollocare nel mercato nero. Da numerose inchieste sulla cosiddetta archeomafia sono emerse variegate e fantasiose narrazioni di numerosi pentiti intorno alla famosa tela: si va dall’ipotesi di una Natività appesa in una sala riunioni, custode dei segreti della cupola mafiosa e garante delle sue decisioni alla folkloristica ipotesi dell’utilizzo come scendiletto da parte del boss Totò Riina. Il dipinto resterà probabilmente custodito tra segreti di una mafia di cui si iniziano a perdere inesorabilmente le tracce. È così che è caduto nel buco nero dei misteri italiani un dipinto ricco di fascino, fagocitato dall’omertà e dall’incuria. Anche Sciascia restò colpito dalla vicenda tanto da incentrare il suo ultimo romanzo, Una storia semplice, attorno alla figura di un diplomatico in pensione, Giorgio Roccella, trovato morto dopo aver trovato casualmente un quadro…
Oggi, dove un tempo sfolgorava la tela caravaggesca, si staglia una copia del dipinto, realizzata da un laboratorio madrileno altamente specializzato in riproduzioni di opere d’arte, Factum Arte, tra la meraviglia e l’incredulità dei due angeli che ne sorreggevano l’originale.
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