Paese legale (ideologico) e Paese reale
CORTE D'APPELLO TOGHE TRIBUNALE AULA
Come una volta la sinistra, che nelle rare voci autocritiche lamentava la distanza del palazzo dal paese reale, così oggi la magistratura parla un linguaggio incomprensibile ovunque al di fuori dall’Anm, dove l’autocritica non è mai esistita. E non ci si riferisce qui al confronto diretto con la politica di riforma del governo bensì alle sentenze con le quali tutti i giorni si scrivono le pagine tristi della giustizia italiana. Qualsiasi operatore del diritto, da alcuni anni, ha di fronte a sé il compito, sempre più gravoso, di spiegare agli utenti dell’amministrazione della giustizia in base a quali norme e a quale logica i magistrati italiani assumono le loro decisioni. Chi scrive, con una significativa esperienza di avvocato e di docente universitario, propende per una missione ideologica rivoluzionaria che nessuno ha mai chiesto ai magistrati, tantomeno la Costituzione, che senz’altro è antifascista, ma non per questo è sovietica.
E sono proprio i cittadini italiani liberali, conservatori, cattolici e anche progressisti, questi ultimi senza rappresentanza parlamentare, sempre a causa del distacco dalla realtà dei loro leaders, dal quale si sono prese le mosse, che continuano a chiedersi come ragionano i magistrati e perché la vita di ogni italiano è una guerra non dichiarata contro la magistratura per avere una giustizia per la quale comunque sono state pagate le tasse e che non arriva mai.
E la risposta non è solo nel furore ideologico delle toghe rosse, ma nella manifestazione universale di quella odiosa tecnocrazia di funzionari e burocrati dove trionfa il potere del ricatto e del veto contro ogni libera iniziativa e forma di vita nella società e nella politica, basate sulla solidarietà e, nel caso delle istituzioni della vera democrazia, quella parlamentare, che non centra con le democrazie delle Procure della Repubblica e dei Tribunali, sulla reale rappresentanza. E tutto questo si ritrova anche nelle sentenze dei giudici di pace, dove si decide più in base alla “schedatura” delle parti in causa, che sui fatti oggetto delle difese. Popoli dei tribunali e popoli della terra, quindi, non avrebbero più il diritto di cercare la democrazia nel parlamento, come è stato sempre a partire dalle rivoluzioni inglese, americana e francese (quest’ultima più problematica) nel ‘600 e nel ‘700, ma dovrebbero avere quella, imposta, delle sedi tecnocratiche dove si applicano le leggi in modo abnorme come se fossero le ideologie di morte dei totalitarismi.
E dove si trova quest’abnormità? Nella sostituzione della sovranità della magistratura, che non esiste nella Costituzione, alla sovranità del parlamento, che della democrazia è l’unico fondamento, nel senso che le norme non vengono più interpretate secondo la volontà del legislatore, che, secondo la Costituzione reale, è solo il parlamento, bensì secondo la volontà dell’Anm, che attraverso le correnti ricatta di continuo anche gli stessi magistrati liberi, che ci sono e che potrebbero addirittura tornare ad essere la maggioranza all’interno della stessa magistratura. In questo senso si deve leggere il meccanismo del sorteggio contenuto nella riforma del Ministro Nordio che appunto sottrae potere alle correnti, ma non autonomia alla magistratura, e che anzi ridona libertà agli stessi magistrati, sia requirenti che giudicanti.
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