Editoriale

Ora Macron si dimetta

di Adolfo Spezzaferro -


Salvo miracoli oggi cadrà il governo francese e la colpa è tutta del presidente Emmanuel Macron. Il casus belli sarebbe legato alla manovra finanziaria lacrime e sangue, e in particolare modo ad un capitolo relativo alla previdenza sociale, con misure che colpiscono i meno abbienti, inaccettabili sia per l’estrema sinistra che l’estrema destra. Che infatti si sono unite per sfiduciare il premier francese Michel Barnier. Questo perché, intervenendo nell’aula dell’Assemblea nazionale, Barnier ha annunciato una volta di troppo il ricorso all’articolo 49.3 della Costituzione, che consente di adottare una legge senza passare dal voto parlamentare. “Di fronte a questa ennesima negazione della democrazia, sfiduceremo il governo. Michel Barnier passerà alla storia come l’uomo con il mandato più breve”, ha detto in aula la deputata Mathilde Panot, capogruppo della formazione di estrema sinistra La France Insoumise (Lfi) guidata da Jean-Luc Mélenchon. Subito dopo, il Rassemblement National (Rn) di Marine Le Pen, di estrema destra, ha confermato che voterà con Lfi per far cadere il governo. Dalla sua costituzione a settembre, il governo di minoranza di Barnier ha fatto affidamento sul sostegno di Rn per la sua sopravvivenza. Sostegno che oggi viene a mancare. Il problema è che per legge in Francia non si potrà tornare al voto anticipato prima di giugno 2025. È proprio per questo però che non è escluso che si arrivi ad elezioni presidenziali anticipate. Anche perché – è sotto gli occhi di tutti – dopo due anni di politiche sbagliate sul piano economico e sociale, con il crollo totale dei consensi, il presidente francese è alle corde. Dopo la batosta alle europee, Macron si è giocato la carta delle elezioni anticipate. Con il suo appello – accolto da tutti i partiti – di unire le forze per non far vincere la le Pen, ha creato però una sostanziale ingovernabilità, condannando la Francia all’instabilità. E all’acuirsi di una già grave crisi economica e finanziaria: debito pubblico di oltre tremila miliardi, imprevisto buco in bilancio, spread preoccupante. Vista la malaparata, Barnier aveva annunciato una manovra finanziaria per recuperare 60 miliardi (40 in tagli alla spesa pubblica e 20 in nuove tasse), e la Le Pen aveva chiesto di essere ascoltata e di fare attenzione a non gravare sui cittadini, condizione fondamentale per continuare ad assicurare il proprio appoggio esterno. Così non è stato ed eccoci alla sfiducia di oggi. Macron dunque si ritrova al punto di partenza: trovare un nuovo premier e un governo che resista il più possibile. L’altra soluzione – auspicabile – è che sia proprio il presidente a farsi da parte, restituendo la parola agli elettori. Se si dovesse tornare alle urne, la Le Pen partirebbe da una posizione di vantaggio e con lei eletta presidente – considerato che anche in Germania il 23 febbraio dovrebbe vincere la destra – i tre più influenti Paesi Ue (visto che in Italia governa la Meloni) si ritroverebbero guidati dal centrodestra. A quel punto finalmente anche la maggioranza Ursula 2.0 – di fatto sgretolata con la nomina di Raffaele Fitto (FdI-Ecr) a vicepresidente esecutivo della Commissione Ue – lascerebbe il passo a una nuova maggioranza di centrodestra, tagliando fuori sinistra e verdi una volta per tutte. Così l’Unione europea somiglierebbe un po’ di più ai Paesi che la compongono. Se invece Macron non intendesse mollare la poltrona, l’agonia francese si prolungherà, indebolendo ulteriormente l’Ue.


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