Ora l’Europa è ad un bivio e rischia di perdere quei mercati
di FRANCESCO MARINGIÒ*
Il settimanale britannico The Spectator non le manda certo a dire. In un articolo emblematicamente intitolato “Perché la guerra economica contro la Russia è fallita” elenca, dati alla mano, le ragioni della fallita strategia occidentale basata sul così detto “sanzionismo”, aggiungendo: «l’Occidente ha intrapreso la guerra delle sanzioni con un senso esagerato della propria influenza nel mondo. (…) L’economia russa non è stata distrutta; è stata semplicemente riconfigurata, riorientata per guardare verso est e verso sud piuttosto che verso ovest». Non possiamo che dargli ragione: l’Occidente fatica a prendere atto dei mutati rapporti di forza nel mondo, resi evidenti dal fatto che il solo contributo cinese alla crescita mondiale tra il 2013 e il 2021 è stato maggiore del contributo fornito dai paesi del G7 assieme (38,6% contro il 25,7%). In più dovremmo cominciare a guardare alla realtà: la Russia non è in default, siamo solo noi europei ad averla persa come mercato.
Lunedì scorso si è aperto a Shanghai il China-Russia Business Forum ed i numeri emersi sono significativi, a partire dalla delegazione giunta da Mosca: 500 persone in visita in Cina, guidate dal premier russo Mikhail Mishustin, dal vice premier Novak, tre ministri, 10 funzionari ministeriali e uomini d’affari da tutta la Russia. Visto il numero significativo, ma soprattutto il peso specifico dei temi trattati, il quotidiano russo “Moskovskij Komsomolets” ha definito la visita di Mishustin una riunione all’estero del governo russo.
Il rapporto tra i due paesi non nasce oggi, né all’indomani della guerra ucraina. La Cina è il principale partner commerciale russo da 13 anni consecutivi e, secondo la dogana cinese, lo scorso anno gli scambi hanno raggiunto la cifra di 190,271 miliardi di dollari, con un aumento annuo del 29,3%. Al business forum Mishustin ha fissato quota 200 miliardi per gli scambi nell’anno in corso che, nel primo trimestre, hanno già registrato +38,7%. Non sono solo i beni di consumo a cementare le relazioni tra i due paesi. Andrej Kostin, presidente della banca VTB, ha spiegato che la Banca Centrale russa ha già accantonato RMB ed usato le valute dei due paesi in oltre il 70% degli scambi Russia-Cina, mentre il ministro dell’energia Novak ha dichiarato che l’aumento di import energetico cinese sarà quest’anno di circa il 40%. Qui tocchiamo un punto delicato, almeno per noi europei, che abbiamo aderito con forza alle sanzioni americane al gas e petrolio russo, in cambio di contratti di fornitura di energia proveniente dagli Usa o da paesi come l’India che raffinano gli idrocarburi russi, rivendendoci il prodotto finito a costi maggiorati. A differenza del “sanzionismo” europeo i cinesi, per sostenere la loro crescita economica, stanno rafforzando gli accordi con la Federazione Russa: l’anno scorso attraverso il gasdotto “Power of Siberia-1” che attraversa anche la Mongolia, la Cina ha importato 15,5 miliardi di metri cubi di gas naturale e si stima che nel 2025 la quantità di gas fornito dalla Russia aumenterà a 38 miliardi di metri cubi. Ma quando sarà completato anche il gasdotto “Power of Siberia-2” la stima di fornitura di gas naturale dalla Russia alla Cina sarà di 98 miliardi di metri cubi. Non solo, quindi, il sanzionismo occidentale non sta funzionando e l’economia russa non sta crollando, ma sta mettendo l’Europa (e solo essa) nella posizione del vaso di coccio di manzoniana memoria.
Oltre ai numeri del business forum, la cooperazione tra i due paesi si è arricchita della firma di cinque documenti e di scambi politici ad alto livello. Ieri Mikhail Mishustin ha incontrato a Pechino il presidente cinese Xi Jinping, il quale ha ribadito che «la Cina e la Russia sono disposte a continuare a sostenersi reciprocamente su questioni legate ai rispettivi interessi fondamentali e a rafforzare la collaborazione nelle arene multilaterali come le Nazioni Unite, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, i BRICS e il G20». Se qui da noi la cosa viene letta in alcuni ambienti come l’ennesima dimostrazione della “neutralità filorussa” da parte della Cina rispetto al conflitto ucraino, a Pechino continuano invece a dare grande importanza al loro rappresentante speciale per gli affari eurasiatici Li Hui, che dopo essere stato da Zelensky, venerdì sarà a Mosca.
Nel corso del G7 il presidente americano Biden ha parlato di un imminente “disgelo Usa-Cina” e la parola d’ordine è stata più “de-risking” (ridurre l’esposizione occidentale in Cina) di “de-couplig” (disaccoppiamento totale delle economie), ma il comunicato finale ha indispettito fortemente Pechino, che non accetta più le solite ingerenze nella sua politica interna.
Il punto vero è che l’Europa è a un bivio. Da un lato ha rotto tutti i rapporti con la Russia, dall’altro sta logorando quelli con la Cina, colpendo aziende strategiche o immaginando, come fa l’UE, di sanzionare anche società cinesi per la vicenda ucraina. Il rischio è essere trascinati dagli Usa in una continua escalation o, paradossalmente, ritrovarsi ad assistere ad un grande deal tra Usa e Cina, senza un’autonomia strategica europea e con relazioni politiche ridotte ai minimi termini. Uno scenario da incubo che, tuttavia, non è così improbabile. Speriamo se ne accorgano a Bruxelles e a Palazzo Chigi.
*presidente dell’Associazione italo-cinese per la promozione della Nuova Via della Seta
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