Attualità

Omicidio Montanari e la vendetta di un padre disperato

di Rita Cavallaro -


Ad una svolta il caso dell’omicidio di Giorgio Montanari, primario di ginecologia del Policlinico di Modena. Dopo 42 anni individuato il presunto responsabile: è il papà di un bimbo che dopo il parto aveva riportato lesioni gravi

Un’emorragia improvvisa, la corsa disperata in ospedale, i ritardi dei medici e la felicità per la nascita di un figlio che si trasforma in dramma, in una vita dedicata ad assistere un disabile. Sarebbe la vendetta di un padre disperato la soluzione del cold case del professor Giorgio Montanari, il primario 51enne della clinica ginecologica del Policlinico di Modena, ucciso a colpi di pistola la sera dell’8 gennaio 1981. Un giallo irrisolto per 42 anni, tanto è il tempo in cui il suo assassino è rimasto nell’ombra, e che ora è arrivato a una svolta con l’individuazione del presunto responsabile, iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio volontario premeditato. L’avviso di garanzia, che permetterà agli investigatori modenesi di svolgere nuovi accertamenti, è stato possibile grazie al lavoro di Antonella Delfino Pesce, la genetista dell’Università di Bari che ha studiato il fascicolo e trovato, tra i verbali, un dettaglio che avrebbe portato l’attenzione sul sospettato. Il nome dell’uomo è coperto dal massimo riserbo, ma è certo che si tratta del papà di un bambino che, all’epoca, riportò lesioni così gravi durante il parto da rimanere disabile. Quel genitore, convinto che la colpa dell’invalidità del figlio fosse dei medici dell’ospedale, scatenò la sua vendetta contro Montanari. Il professore, però, era soltanto un’altra vittima inconsapevole, visto che la sera del parto non era di turno e, addirittura, non era nemmeno a conoscenza del presunto grave errore sanitario avvenuto nella clinica da lui diretta, dove la moglie del killer era arrivata in condizioni disperate, con un’emorragia in corso.

I medici avevano tentato di intervenire prima possibile per risolvere positivamente quello che era apparso come un parto difficile. Nonostante quei tentativi, alla nascita il neonato mostrò immediatamente le conseguenze delle complicazioni, lesioni così importanti che lo avrebbero accompagnato per tutta la vita. Per i genitori, le condizioni di salute del figlioletto erano imputabili ai presunti ritardi nell’assistenza sanitaria: quel padre si convinse che la colpa di tutto fosse dell’equipe che aveva operato e del primario della clinica. Nella mente di quell’uomo disperato si innestò così il tarlo della vendetta: Montanari doveva pagare per quello che aveva fatto. La sera dell’8 gennaio 1981, intorno alle 20, il padre del bimbo leso uscì di casa con una pistola calibro 38, un residuato bellico della Seconda Guerra Mondiale, e si appostò nel parcheggio per attendere che Montanari uscisse dal lavoro. Quando il primario salì sul Maggiolino, si vide avvicinare da un’ombra nel buio che, dopo uno scambio di battute, estrasse l’arma e sparò una raffica di colpi. Il medico ingranò la marcia, ma l’ultimo proiettile non gli diede scampo: raggiunse il dottore alla clavicola e si conficcò nel cuore, lasciando Montanari riverso sul volante, nel sangue. Il killer poi fuggì, restando impunito in questi 42 anni. Fin dalle prime battute le indagini si concentrarono sull’ambiente lavorativo e furono analizzate anche le cartelle cliniche dei pazienti, perfino quella del bimbo cerebroleso. Gli inquirenti sospettavano che se un regolamenti di conti ci fosse stato, non poteva essere collegato alla criminalità organizzata, ma doveva essere il gesto sconsiderato di un killer inesperto, dato che della raffica di colpi esplosi a distanza ravvicinata contro Montanari solo uno andò a segno. La pista del paziente insoddisfatto, però, fu deviata su un aspetto più specifico rispetto al più consueto errore medico. Prese quota la posizione abortista di Montanari, che con l’entrata in vigore della legge sull’aborto, proprio in quei giorni, aveva impostato la direzione del reparto modenese di Ostetricia lasciando la libertà di coscienza ai suoi collaboratori.

Quella scelta aveva causato tensioni tra i medici e gli infermieri, creando due fazioni opposte nella struttura sanitaria e attriti tra chi era disposto a praticare l’interruzione della gravidanza alle pazienti e chi non voleva a che saperne di eseguire la pratica. Tanto più che il primario aveva ricevuto lettere anonime con minacce e perfino alcuni proiettili. La linea abortista del direttore sanitario, dunque, divenne la pista privilegiata e seppure la cartella clinica del bambino fu vagliata, nei fatti la sua rilevanza nel caso venne sottovalutata, nonostante di quell’episodio la stessa equipe medica ne aveva parlato con gli investigatori. Quel padre era andato più volte a lamentarsi per le condizioni del figlio, aveva puntato il dito contro i sanitari e, probabilmente, aveva sentito fare il nome di Montanari quale responsabile. Il genitore, insomma, potrebbe aver frainteso l’effettivo ruolo del primario nella vicenda, che era responsabile di tutto il reparto, non certo della squadra che quella sera aveva fatto nascere il bambino. L’inchiesta avrebbe fatto emergere, infatti, che alla base del delitto ci sarebbe uno scambio di persona e che il responsabile avrebbe sparato a Montanari mosso da un convincimento errato, ovvero che era stato lui a commettere ritardi e omissioni sfociati poi nelle terribili complicazioni subite dal neonato. Ipotesi investigative che, al momento, non sono supportate da prove schiaccianti, necessarie a inchiodare l’indagato. Nel fascicolo, al vaglio, ci sono la cartella clinica, alcune testimonianze dell’epoca e nuovi interrogatori al personale sanitario, convocato nelle settimane scorse. C’è poi una perizia balistica che ricostruisce con esattezza la dinamica della sparatoria, ma nessun’arma con cui confrontare i bossoli. La pistola non è mai stata trovata e l’avviso di garanzia recapitato all’indagato punta a cercare nuovi elementi sfuggiti all’epoca, in grado di accendere un faro sulla verità. Una speranza per la vedova Montanari, Anna Ponti, 93 anni e un ultimo desiderio: quello di sapere chi e perché abbia ammazzato suo marito. E l’amarezza di un delitto maturato nella disperazione di un padre per il suo bimbo malato.


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